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Oscar Catacora, giovanissima promessa del cinema peruviano e regista di Yana-Wara, lungometraggio presentato al 17°festival del cinema spagnolo e latinoamericano di Roma, è deceduto durante la lavorazione del film: un’appendicite fulminea gli ha privato la possibilità di poterlo vedere completato su grande schermo. Ci ha pensato lo zio, Tito Catacora, ad ultimarlo. Ed è con grande rammarico che salutiamo, con questo Yana-Wara, l’opera di un grande cineasta.
Il cinema, Oscar, se lo è dovuto andare a cercare, dalle sue parti andavano forte i film con Van Damme e Jackie Chan, film semplici, ricchi di azione ed esplosioni, che a lui non piacevano molto. Preferiva un cinema più complesso, difficile da capire, articolato, ed autoriale. Ma trovare quei film, nella regione peruviana di Puno, era un’impresa: Oscar riusciva a reperirne versioni martoriate in VHS, ne rimane affascinato, ma le VHS sono tagliate, non ci sono i titoli di testa né di coda, Oscar non sa chi sono gli autori del cinema a cui si sta appassionando. “In seguito, quando reperisco quei film in dvd, mi accorgo quanto sia importante il regista. Comincio a differenziare chi è il regista, l’importanza dei personaggi, i tecnici.”
Kurosawa, in particolare I sette samurai (programmato in questi giorni anche a Cannes nella versione restaurata in 4k) e Rashomon i due film che più lo colpiscono, ma anche Sergio Leone, Takashi Miike. ad un certo punto un certo professore gli parla di Brian De Palma, ed Oscar va alla ricerca di tutte le sue opere, una caccia al film che diventa bene prezioso ed inestimabile da guardare più volte e assimilare avidamente, inquadratura per inquadratura. De Palma però pare introvabile, si deve accontentare dei trailer. Riesce infine a trovare Scarface: si era nascosto sotto un nome diverso: a Puno, infatti, Scarface era distribuito con il titolo El precio del poder (Il prezzo del potere).

Dopodiché, Oscar legge tutti i testi sul cinema che riesce a trovare, gira cortometraggi ancora prima di intuire che esiste un linguaggio cinematografico, gira un bizzarro western amatoriale (La venganza del Súper Cholo, 2007) ed esordisce a livello internazionale con una pellicola che gli vale già diversi riconoscimenti. Il suo primo lungometraggio ufficiale, Wiñaypacha (L’eternità), viene candidato agli oscar come miglior film straniero. Primo film girato interamente in lingua aymara, racconta le vicende della vita di Phaxsi e Willka, una coppia di anziani abbandonati al loro destino in un luogo inospitale sulle Ande. Il film è stato un successo internazionale e ha vinto numerosi premi, tra cui quello per la migliore opera prima e la migliore fotografia al Guadalajara Film Festival (Messico).
Yana-Wara, dicevamo, è un film di un grande cineasta, girato con rigore ed estrema attenzione all’inquadratura, con un utilizzo di attori non professionisti e una sobrietà interpretativa che si rifà al minimalismo bressoniano. Yana-Wara stessa, la protagonista, interpretata dalla brava Luz Diana Maman, per la sua tragica e disperata esistenza, ci ha fatto pensare a Mouchette, proprio di Bresson.
Yana-Wara vive con lo zio Evaristo, ottantenne, ed unico parente rimasto, la piccola non parla dal giorno in cui morì sua madre. Viene mandata a studiare in una piccola scuoletta che si trova nei pressi del villaggio. L’insegnante mostra interesse per lei, a cui fa seguire una violenza ed un abuso. Le conseguenze di questo atto sono profonde, Yana rimane incinta, e la comunità la costringe ad andare a vivere con il suo violentatore. Tutto questo precipita sempre più la ragazza in un delirio di sofferenza psicologica e fisica, dalla quale verrà salvata solamente dalla compassione del nonno, che preferisce ucciderla piuttosto che vederla soffrire. Il film si apre a fatto già compiuto, vediamo un rudimentale tribunale comunale mentre affronta la questione dell’omicidio.
Ad una prima parte narrativa, in cui assistiamo all’annientamento fisico di Yana-Wara, segue una seconda, più visionaria, che mette in scena lo sgretolamento mentale della protagonista. In ultimo le coordinate si invertono, e le ferite di Yana arrivano a configurarsi come manifestazione fisica di un trauma psicologico impossibile da guarire.
Tito Catacora, lo zio di Oscar, e co-regista di questo film, ha deciso di utilizzare lo stile in bianco e nero per catturare l’essenza dei paesaggi naturali di Conduriri, situato nella provincia di Collao-Ilave , negli altopiani di Puno. (Anche questo lungometraggio, come il precedente Winaypacha, è girato interamente in lingua aymara).
L’ultima parola su questo film l’ha avuta, effettivamente, Tito. A suo dire Oscar avrebbe voluto un film diverso, e non ha avuto possibilità di assistere al montaggio della pellicola. Innegabile quindi, che buona parte del merito vada a lui.

La posizione della macchina da presa, dicevamo, è estremamente importante nel cinema di Catacora, spesso nei campi lunghi essa si posiziona in punti sopraelevati appositamente allestiti, (ripensiamo a Michelangelo Frammartino nel suo Le quattro volte durante la complessa scena della processione, nella quale la macchina da presa era posizionata in un punto che il regista aveva individuato con una precisione tale da costruire un’intera impalcatura per poter averla lì). Una tale chiarezza di intenti presuppone un profondo rigore formale. E il cinema di Catacora lo conferma, oltre a Kurosawa (nella fotografia) e Leone (nell’inquadratura), ravvisiamo echi di Stroheim e del sopracitato Bresson, Il film si sposta da un registro visivo all’altro mantenendo una straordinaria continuità di fondo, data da una fissità di inquadratura e una coerenza di ritmo interno molto scrupolosa. Nei volti dei personaggi si riflette una cultura fatta di tradizioni arcaiche, una comunità che si muove con un codice primitivo e feroce, fatto di punizioni fisiche ed esilianti, che non lascerà scampo a nessuno dei due.
Tra riti, curanderi, spaventose visioni e ripetute violenze, Yana-Wara dirà solo una parola, prima di morire, per ringraziare lo zio, unico barlume di umanità che alla povera Yana è stato concesso conoscere, il vecchio la accarezza con una dolcezza disarmante, con le sue mani rugose, appena prima di mettere fine alla sua disperata esistenza.
E così, assieme alla sua Yana-Wara, se ne va anche Oscar Catacora, classe 1987, a soli 34 anni. Con lui, il cinema peruviano perde un’importantissima voce, se non l’unica, per particolarità di intenti e di poetica.
Yana-Wara – Regia: Oscar Catacora, Tito Catacora; sceneggiatura: Óscar Catacora; fotografia: Óscar Catacora, Tito Catacora, Julio Gonzáles F.; montaggio: Tito Catacora; cast: Luz Diana Mamami, Cecilio Quispe, Juan Choquehuanca, Irma D. Percca, José D. Calisaya; produzione: Cine Aymara; durata: 104 Minuti; origine: Perù, 2023.
