Berlino F.F.: Leonora addio di Paolo Taviani

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Ci sono nella Storia del cinema dei grandi autori che potremmo chiamare dei “maratoneti” del tempo – i primi che mi vengono in mente sono per esempio  Bergman, Kurosawa, Kluge (che ha compito il 14 febbraio 90 anni) o Godard – i quali, nel corso delle loro lunghe carriere hanno mantenuto intatta una grande creatività anche in età avanzata. Ad essi possiamo ora aggiungere anche Paolo Taviani che a più di 91 anni ci ha consegnato un’opera assolutamente spumeggiante e niente affatto scontata o accademica come Leonora addio – un film dalla struttura e dai risultati a dir poco sorprendenti.

Il titolo, abbastanza misterioso, fa riferimento ad una novella omonima scritta da Luigi Pirandello nel 1910 – primo nucleo del celebre dramma Questa sera si recita a soggetto (1928-29) –  che sarà pubblicata successivamente, nel 1922, nella raccolta Novelle per un anno. Misterioso, dicevamo, perché poi di quel testo non abbiamo trovato traccia (o ci è sfuggita) in questo film che pur del grande drammaturgo siciliano tratta a più livello e che, se abbiamo contato bene, costituisce il ventesimo lungometraggio per il cinema diretto dalla coppia dei registi toscani – ma il primo interamente realizzato senza l’apporto creativo del fratello Vittorio a cui è comunque dedicato.

Con Luigi Pirandello non è certo la prima volta che i Fratelli Taviani si sono confrontati, dopo lo straordinario Kaos (1984) e Tu ridi (1998), entrambi tratti dalla celebre raccolta del 1922. In questa ultimo incontro, dunque il terzo, però, si opera in modo diverso, per raccontare i tre funerali dell’artista siciliano: una prima volta alla sua morte nel 1936 a due anni dal Premio Nobel con le ceneri conservate al cimitero Verano di Roma; una seconda dopo un lungo ed estenuante viaggio nell’Italia ferita dalla guerra che riporta l’urna nel 1946 in Sicilia ad Agrigento dove era nato nel 1867, grazie ad una iniziativa sollecitata dagli studenti locali; e infine ancora a distanza di 15 anni con la definitiva sepoltura nella pietre della sua campagna natale.

Una storia al tempo travagliata e bizzarra che si sviluppa per quasi quattro decenni del secolo breve e che Paolo Taviani ci narra con uno stile icastico e variegato, in uno straordinario bianco e nero e con una grande ricchezza di splendidi primi piani per la fotografia soprattutto di Paolo Carnera (completata poi da Simone Zampagni) – per la cronaca il film ha avuto diverse vicissitudini a causa dalle interruzioni della lavorazione causa covid .

Si tratta, a ben guardare, di una sorta di viaggio metaforico nella storia e nella cultura del nostro paese che alterna momenti drammatici come l’orrore della guerra a delle notazioni sarcastiche o ironiche sul carattere dell’Italia, ieri ma con un occhio all’oggi.

Tra l’altro con una intuizione abbastanza geniale Paolo Taviani  – come ha ripetuto nella sua conferenza stampa berlinese – ha deciso di descrivere la fine del fascismo e la guerra non tanto tramite materiale di repertorio documentario dell’Istituto Luce  ma, invece, citando brani di diversi capolavori del neorealismo italiano che ci restituiscono così una verità superiore, portata all’ennesima potenza, che è quella dell’arte cinematografica. In questo contesto il regista toscano omaggia anche, con una celeberrima sequenza de Il sole sorge ancora (1946) di Aldo Vergano, i suoi grandi colleghi Carlo Lizzani e Gillo Pontecorvo lì usati come attori.

Ma tornando a Leonora addio, la gran parte del film è dunque costituito dall’avventura di un funzionario del Comune di Agrigento, interpretato con grande bravura da un intenso Fabrizio Ferracane, per riportare indietro l’urna con le ceneri di Pirandello attraversando l’Italia del sud appena uscita ferita dalla guerra, in un eterno viaggio in treno sino alla meta finale della Sicilia.

Dopo un’ora circa, però, con un letterale coup de théâtre, si cambia, d’improvviso, registro: i resti dei resti delle ceneri, quelle non più contenibili nell’urna cineraria definitiva da sotterrare, vengono disperse in mare mentre la macchina da presa guarda in lontananza. E si passa, allora, al colore e dall’altra parte dell’Atlantico, a New York, dove si svolge l’epilogo (o secondo atto del film) con la messa in scena dell’ultimo racconto mai scritto da Pirandello, Il chiodo.

Vi si narra qui, traendolo da un episodio di cronaca criminale dell’epoca,  di  un ragazzino, costretto a lasciare la Sicilia e la madre e ad emigrare con il padre in America  Sono probabilmente un mix tra la nostalgia per la terra natia che ha dovuto abbandonare, la separazione traumatica dalla madre unite alle difficoltà di adattarsi alla nuova vita, che lo porteranno a compiere un gesto estremo e di estrema violenza. Su cui costruirà, purtroppo, tutta la sua esistenza.

Aggiungiamo solo che quest’ultima parte, di adattamento della novella, è quella che ci ha convinto di meno, rispetto al corpus unitario e alla maggiore ricchezza creativa della prima.

In ogni caso, però, Leonora addio che si apre e si chiude come fosse una spettacolo teatrale, resta un’opera sorprendente e piena d’inventiva, un grande omaggio all’arte del Teatro di cui in Italia Pirandello è stato un assoluto maestro. Ma per far ciò si lavora di fino, proprio con tutti i mezzi e gli strumenti costitutivi e differenzianti del cinema-cinema, che ne vengono qui esaltati e valorizzati – dalla fotografia (di cui abbiamo detto) all’interpretazione corale o al montaggio di un altro sommo professionista come Roberto Perpignani. Per non nominare, poi, due altri collaboratori sommi del cinema tavianeo come Nicola Piovani alle musiche e Lina Nerli Taviani ai costumi. Insomma, un discreto colpo d’ala in un Concorso berlinese sinora non certo esaltante.

Vincitore del Premio Fipresci al Festival di Berlino

In sala dal 17 febbraio


Cast & Credits

Leonora addio – regia e sceneggiatura: Paolo Taviani; fotografia: Paolo Carnera, Simone Zampagni; montaggio: Roberto Perpignani; musica: Nicola Piovani; costumi: Lina Nerli Taviani; interpreti: Fabrizio Ferracane (delegato del commune di Agrigento), Matteo Pittiruti (Bastianeddu), Dania Marino (Betty), Dora Becker (la rivale di Betty), Claudio Bigagli (il vescovo); produzione: Donatella Palermo per Rai Cinema, Stemal Entertainment; origine: Italia 2022; durata: 90’; distribuzione: 01 Distribution.

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