Se solo fossi un orso di Zoljargal Purevdash

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Se solo fossi un orso, opera prima della regista Zoljargal Purevdash, è il primo film della Mongolia ad entrare in una selezione ufficiale del Festival di Cannes 2023, nella sezione “Un Certain Regard”. La regista ha realizzato il suo film d’esordio, dopo un lungo lavoro di workshop e ricerca di finanziamenti iniziato nel lontano 2017. Autrice di cortometraggi di successo come Stairs e Yellow Bus, la regista predilige un approccio diretto alla realtà contemporanea del suo paese, un paese complesso segnato da profonde disuguaglianze socio-economiche e dove si fatica a raggiungere una sintesi tra modernità e tradizione.

Il film è ambientato nella città di Ulan Bator, luogo di origine della regista, una delle capitali più inquinate del mondo, dove più del 60% dei cittadini vive in condizioni di estrema povertà, senza riscaldamento e infrastrutture, e dove gli abitanti sono costretti a bruciare carbone per sopravvivere al brutale inverno che arriva a – 35° C.

Zoljargal Purevdash ha deciso di realizzare il film nei luoghi della sua infanzia traendo spunto da qualche esperienza personale: figlia di commercianti di un piccolo negozio in periferia, ha sempre sognato di poter regalare alla propria famiglia una speranza attraverso il cinema.

Se solo fossi un orso è la storia di Ulzii, un adolescente povero che vive con la sua famiglia nella zona delle iurte, le case mobili dei nomadi mongoli. È un genio della fisica e vuole a tutti i costi vincere un concorso scientifico per guadagnare una borsa di studio. Quando la madre lascia improvvisamente la città per andare in cerca di un lavoro in campagna, Ulzii, che non vuole rinunciare alla scuola e agli studi, decide di restare prendendosi anche carico dei fratelli più piccoli, e così si ritrovano da soli ad affrontare il rigido inverno mongolo. Il ragazzo si rende subito conto che è dura provvedere al cibo, il carbone per scaldarsi spesso non c’è, a volte bisogna rubare della legna, all’occorrenza va bene bruciare anche dei pneumatici trovati in strada. Il padre di Ulzii è morto suicida, e la madre è una donna debole e arresa che cerca di disperdere i suoi dispiaceri nell’alcol, incapace di trovare alternative alla povertà e un lavoro che possa garantire un benessere ai figli.

Ulzii sa che attraverso lo studio può crearsi un futuro migliore e avere un riscatto, ma ben presto si trova a dover fare i conti con una realtà molto dura, dove anche acquistare le medicine è un lusso che non può permettersi, e si vedrà costretto, pur di sopravvivere e prendersi cura dei fratelli, a fare qualsiasi tipo di lavoro anche non legale e a perdere le lezioni di scuola.

Il film procede attraverso un ritmo lento, e ci introduce con una certa magia nei paesaggi della Mongolia, i monti in lontananza incorniciano le case della periferia, dimore povere lungo le vie coperte dal ghiaccio in una monocromia grigiastra immersa nei fumi di carbone. Quello del protagonista e degli altri abitanti del distretto, è un’esistenza dolorosa e triste, laddove anche i progetti governativi e le buone intenzioni dei servizi sociali rischiano di infrangersi contro la mancanza assoluta di risorse.

Ma il ragazzo è ambizioso e cova dell’orgoglio, sa che lui e i suoi fratelli non possono contare sui genitori, spetta a lui provvedere a ogni cosa. Il suo cuore e le sue emozioni si dividono tra la rabbia per il comportamento egoista della madre e il senso di colpa nel doversi sostituire a lei, e il peso di dover assumere il ruolo di genitore, anche contro l’opinione e i sentimenti dei fratelli più piccoli. Vorrebbe sentirsi protetto, vorrebbe che la madre fosse orgogliosa dei suoi risultati, ma lei non capisce, non sa neanche leggere e scrivere, e non cambierà mai. In questa disperazione e in questa assoluta solitudine dei ragazzi, inaspettatamente nel nulla sembra nascondersi della bellezza, quella dell’autenticità e della solidarietà della comunità. Il professore di scuola è stato il primo a credere in Ulzii e ha deciso di non abbandonarlo. Se gli abitanti del distretto impareranno ad aiutarsi a vicenda e a trovare delle soluzioni nell’interesse comune, ci sarà un lento ma costante miglioramento in Mongolia, sembra voler dire la regista con Se solo fossi un orso. Insieme si possono migliorare le condizioni del paese e di tutti: proprio come Ulzii che vuole contribuire alla costruzione di un futuro migliore per la sua famiglia.

In sala dal 14 marzo 2024


Se solo fossi un orso (Baavgaj bolohson) Regia e sceneggiatura: Zoljargal Purevdash; fotografia: Davaanyam Delgerjargal; montaggio: Alexandra Strauss; interpreti: Battsooj Uurtsaikh, Nominjiguur Tsend, Tuguldur Batsikhan, Batmandakh Batchuluun, Ganchimeg Sandagdorj, Batsaikhan Battulga, Urnukhbayar Battogtokh, Purevdulam Natsagbadam, Davaasamba Sharav, Sukhee Lodonchuluun, Batzorig Sukhbaatar; produzione: Urban Factory, Amygdala Films; origine: Mongolia/Francia/Svizzera/Qatar, 2023; durata: 99 minuti; distribuzione: Trent Film.

 

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