Vakhim di Francesca Pirani

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I suoi primi anni di vita sono immersi nel mistero.

Se pensiamo al documentario, la prima idea che viene alla mente è quella di un lavoro che riproduce la realtà, realtà della quale l’obbiettivo si fa nastro registratore. La mdp e il mondo fuori. La prima che si muove in questo secondo, catturandolo ingabbiandolo facendolo suo e null’altro. Una lettura del genere – efficace ma semplicistica – sarebbe però dimentica del fattore più importante: chi quella mdp la tiene in mano. E così, quello che pareva il genere più obbiettivo possibile, si rivela essere il genere soggettivo per eccellenza e ciò ha i suoi contra come i suoi pro: per esempio, parzialità da una parte, accuratezza dall’altra.

Tradotto nella pratica, nel documentario si vede una parte circoscritta della realtà, ma quella parte limitata è osservata con la lente d’ingrandimento. Nel caso di Vakhim, una lente d’ingrandimento dolcemente gestita dalla regista Francesca Pirani, a studiare una realtà vicina: una famiglia atipica (la sua), e quindi una famiglia come tante (tutte).

Per la legge siamo una famiglia,

ma in realtà siamo degli estranei che improvvisano un copione sconosciuto.

Francesca e Simone si recano in Cambogia e adottano un bambino abbandonato. Nell’istante in cui inizia il viaggio per l’Italia sono consapevoli che quel bambino, Vakhim, perderà ciò che è stato per diventare qualcun altro. L’aumentare degli anni andrà di pari passo con il perdere dei ricordi, e le parole italiane ruberanno il posto a quelle della lingua madre.

Per imparare una nuova lingua, perde ogni giorno un po’ di se stesso.

Ma Vakhim è una forza della natura: vivace, creativo, divertente e divertito dai nuovi genitori. E una parola sempre tra le labbra, Mali. I genitori adottivi si pongono domande, poi s’insospettiscono. Chi è Mali? La scoperta aprirà una porta che mai è stata chiusa, quella di un paese lontano, di una terra che non può essere dimenticata.

Vakhim è un’opera attenta e dolce. L’alternanza dei video “amatoriali” – la patina è quella indefinita e vintage da anni 2000 e l’utilizzo era familiare, ma l’attenzione posta nell’inquadratura, i movimenti e il montaggio conseguente è tutt’altro che amatoriale, o comunque nasconde del gusto – a riprese contemporanee della Cambogia, con attori in gioco, è vincente per una storia che non annoia e anzi commuove con i sentimenti scoperti che mette in campo. L’occhio della madre adottiva, il rapporto tra Vakhim e la sorella, la tenerezza del padre, il fuoco del Vakhim bambino e la supponenza giocosa e di facciata di quello adolescente, le lente osservazioni della Cambogia, rendono la pellicola interessante.

A ciò si aggiunga un ottimo uso della soundtrack come la bravura nel costruire una narrativa senza romanticismi e sedute, una grande attenzione nel dosaggio e nella composizione delle scene che permette al lavoro di correre, di essere goduto, mentre temi umani come la genitorialità e l’identità sono in parte detti dalla voce fuori campo, in buona parte mostrati. Vakhim è un ragazzo romano, ma è anche stato un bambino cambogiano. E forse lo è ancora. Oscilla tra due famiglie e due paesi, per tutta la vita negare l’uno ha dato valore all’altro, ma forse non è detto che queste due cose non possano convivere, che il passato non possa essere un passo per vivere appieno il futuro.

Presentato alle Giornate degli Autori (Notti Veneziane) 2024.
In sala dal 6 maggio 2025.


VakhimRegiasceneggiatura: Francesca Pirani; fotografia: Massimo Intoppa, Luciano Usai; montaggio: Nicola Moruzzi; musica: Tony Carnevale; interpreti: Vakhim Borra, Maklin Tosi, Simone Borra, Francesca Pirani, Yon Neang, Chandara So, Vannak Soeung, Kimhour Ly, Sreyneth Un, Mengfery Lav, Sreyna Un; produzione: Land Comunicazioni, con il contributo del Ministero della Cultura; origine: Italia, 2024; durata: 98 minuti; distribuzione: Land Comunicazioni.

 

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