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Voto
«Che fai nella vita?». «Lo sceneggiatore». «Deve essere un bel lavoro, di fantasia». «Io non ho fantasia». (Umberto Contarello, Una questione di cuore, Feltrinelli 2005).
Credo che a nessuno, meno che mai al sottoscritto, piacerebbe avere un amico super depresso come il protagonista de L’infinito, così autobiografico da essere l’alter ego dallo stesso autore, che poi è il celebre sceneggiatore Umberto Contarello – qui, con un passo doppio, al debutto nella regia oltre ad assoluto mattatore davanti alla mdp del proprio film. Che dunque tanto, anzi tutto, deve alla vulcanica, contraddittoria, straripante personalità del cineasta padovano diventato, con un poderoso colpo di reni, un one-man-band.
Umberto, Umbe ma solo per gli amici/e, è uno sceneggiatore di successo che sta passando un momento particolarmente difficile nella vita e nel lavoro: ha appena cambiato casa e cerca di riconquistare la fiducia e il rapporto con la giovane figlia Elena (Margherita Rebeggiani) che spia negli allenamenti sportivi e che è stata traumatizzata dalla separazione dei genitori. Nella professione le cose non vanno meglio: la sua carriera sembra avviata inesorabilmente sul viale del tramonto e allora cerca aiuto presentandosi ad un agente particolarmente potente (interpretato alla grande da Bruno Cariello) che lo tratta da pezzente ma gli offre un compito per lui abbastanza indigesto: quello di coadiuvare nel lavoro una promettente autrice (Carolina Sala) che – ahimè – segue le regole correnti della costruzione drammaturgica secondo le regole campbelliane del “viaggio dell’eroe” e dei vari turning point – tutto il contrario della poetica di Umbe basata sullo scrivere delle “scene che non servono a niente”.
In questa difficile situazione che acuisce il suo senso di smarrimento esistenziale e un basso continuo di esplicita depressione, il nostro per fortuna trova qualche oasi di conforto: per esempio in casa nel suo fido domestico Lucas (Eric Claire), imperturbabile anche se è pagato sempre in ritardo, maniaco dei mandarini e di andar a fare spesa alla Conad; dal balcone spia con un certo piacere nella finestra di fronte una graziosa, affascinante suora armena che pulisce i vetri, poi, in un momento successivo, verrà accompagnato da una disinvolta Priora sulla tomba della madre; non mancano, ovviamente, delle bevute notturne oltre agli incontri con due vecchie fiamme con cui può rivangare passato, presente e futuro (con una fa sesso mentre l’altra potrebbe finanziargli un film); eccetera, eccetera, senza nessuna vera consequenzialità narrativa.

Dal titolo chissà se volutamente leopardiano, L’infinito è dunque un film erratico e vagabondo dove si racconta il passare del tempo di un personaggio dolente, abitato da grande malinconia ma, al tempo stesso, connotato da un’overdose di autocompiacimento che assurge, dunque, a bandiera di sopravvivenza. Tuttavia, alla fine, sembrerebbe – fatti i compiti qui, fatti i compiti là – che per lui, forse, le cose non si metteranno tanto male. Inquadratura finale (una immagine già messa sulla pagina scritta nel romanzo Una questione di cuore): una bicicletta disegna un gigantesco otto in una Piazza Navona vuota e innevata. Bella visione in plongée ma che non serve a niente – come da divisa dell’autore padovano.
Dubito fortemente – posso sbagliare di certo ma … – che Sorrentino (cofirmatario della sceneggiatura e produttore), Mazzacurati (a cui il film è dedicato) o altri importanti registi come Bertolucci o Amelio con cui Contarello ha lavorato, avrebbero mai diretto e firmato un film tanto “sregolato” che, comunque, al di là di ogni giudizio nostro più negativo che positivo, di qualità ne possiede: dalla suggestiva fotografia in bianco e nero all’interpretazione generale del cast, compresso il dolente protagonista che risalta sulla scena in ogni inquadratura.
Il problema sta nello smisurato egotismo, nel faticoso narcisismo che connota L’infinito, come se Umberto Contarello, a parte i lasciti e i vezzi sorrentiniani o le strizzate d’occhio cinefile, si sentisse il Federico Fellini/Marcello Mastroianni di 8½ più di sessant’anni dopo – ma senza quella carica di fantastica invenzione visiva che rendeva unico e inarrivabile quel capolavoro. Qui, in primis, emerge l’autocommiserazione e il gusto della facezia paradossale, anche se a tratti mitigata dall’ironia o da divertenti, azzeccate battute che si inanellano nel non-racconto programmatico, nel tessuto molle di un film molto logorroico, sempre sul filo del rasoio ma, in ogni caso, fuori dagli schemi nei novanta minuti della sua aurea durata. Segno dunque che il talento non manca anche questa volta, anche se abbiamo avuto occasione di apprezzarlo maggiormente in altri contesti.
Fazit: gli autori sono in primis responsabili delle opere che realizzano, i critici di aver capito o non capito, spiegato o non spiegato bene quello con cui si vanno confrontando – al cinema o in letteratura. Nell’uno e nell’altro caso ognuno cerca di far al meglio, se si è persona coscienziosa, il proprio lavoro. Per noi dunque pollice in giù, pronti a distanza a rivedere le nostre impressioni fuggenti e chiedere venia. Perché come ci suggeriva il grande Billy Wilder, a riguardo di altro ma in modo molto socratico, alla fine di Some Like It Hot : “beh… nessuno è perfetto!”.
Presentato in anteprima al BIF&ST – Bari International Film Festival 2025 (Concorso per il Cinema Italiano).
In sala dal 15 maggio 2025.
L’infinito – Regia: Umberto Contarello; sceneggiatura: Umberto Contarello, Paolo Sorrentino; fotografia: Daria D’Antonio; montaggio: Federica Forcesi; musica: Danilo Rea; scenografia: Erika Aversa; interpreti: Umberto Contarello, Eric Claire, Carolina Sala, Margherita Rebeggiani, Lea Gramsdorff, Stefania Barca, Alessandro Pacioni, Tahnee Rodriguez, Lena Guerre, Bruno Cariello, Manuela Mandracchia, Tony Laudadio, Antonio Piovanelli, Dario Cantarelli; produzione: The Apartment, UMI Films, Numero 10; origine: Italia, 2025; durata: 91 minuti; distribuzione: PiperFilm.
