American night di Alessio Della Valle

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Una delle cattive e involontarie eredità lasciate dal primo periodo del cinema di Quentin Tarantino, (mal)interpretato nella sua accezione esteriore e vuota di campionario di situazioni iperrealiste e paradossali, e non come sublime rielaborazione di un ipertrofico e post godardiano immaginario tra esplosioni pop e fantasmagorie della Storia, è stata la proliferazione di pellicole che hanno trasformato quella peculiare poetica in una generica maniera.

Ora se ci trovassimo, supponiamo, alla fine degli anni ’90, dove il  successo all’ epoca recente di Pulp fiction (1994) aveva rappresentato uno spartiacque per gli stilemi narrativi ed estetici del cinema indipendente non solo americano, American Night, esordio filmico  di Alessio Della Valle, italiano con master in regia a Los Angeles, sarebbe già pervaso di un’atmosfera ristagnante e riciclata. La fitta trama noir, sfilacciata da una serie di detours inermi e irrisolti, è articolata sulla classica struttura di blocchi narrativi ad incastro, un meccanismo, che, se non se ne ha perfetta padronanza (il prototipo è Rapina a mano armata di Kubrick, per intenderci …) rischia di perdersi in un confuso patchwork dove non si riesce più a passare dal particolare al totale, e  a mettere in sincronia la prospettiva di insieme con quella parziale. Forse è proprio per questa mancata connessione con il tempo e lo spazio  del cosa e del come  si sta raccontando, che tutti i personaggi si muovono senza troppa convinzione sul traballante palcoscenico di una New York che vorrebbe essere cupa e romantica, ma appare come la fotocopia sbiadita di un illustrazione di riporto contenuta in un romanzetto di letteratura pulp: uno sguardo che non ha più ne lo stupore trasfigurante dello straniero né la lucida essenzialità dell’oriundo, ma è un indigesto ibrido da esportazione sui cliché di una metropoli notturna e le sue storie.

Ci sono dunque il rampollo esaltato e psicopatico di una famiglia mafiosa che vorrebbe fare l’artista e il gallerista un po’ bello e dannato che si sdoppia tra una superficie di prestigio e idolatria e un’essenza di colpa e pericolo; c’è il corriere imbranato che soffre di narcolessia, per cui sembra morire ogni volta ma in realtà non muore mai; c’è la bella storica dell’arte, ex partner  del gallerista, che continua ad amarlo contro ogni disillusione prima e contro tutte le circostanze avverse dopo; e c’è il fratellastro del gallerista, stuntman fallito e affetto da vertigini sui set di action movie di serie B, che scopre la propria vocazione come guru delle arti marziali nella conclusiva guerriglia urbana con gli scagnozzi del piccolo boss.

Un varietà di caratteri e di incroci/intrecci, attraverso i quali si vorrebbero proporre anche delle riflessioni sul rapporto tra arte, vita e violenza, e senso di appartenenza e individualità ,ma che vengono esposte in un’alternanza tra il pretenzioso e il velleitario, proprio perché non appoggiate su situazioni ben delineate ,corpose, tridimensionali. La piattezza è quella del format di una graphic novel ,eloquente nei curatissimi titoli di testa e di coda, ma senza l’affondo oscuro e viscerale di un Frank Miller; nonostante le innumerevoli sparatorie, talune a colpo di coda di sequenze ammiccanti, senza esito, alla Coppola (il giovane padrino si chiama Michael), non si vede quasi mai del sangue,  ed è evidente che non ha nulla a che fare con una scelta di stilizzazione, visto l’impatto perlopiù realistico della regia. Si mettono dentro, alla rinfusa, elementi che fanno slittare  in maniera estenuante, lungo gli eccessivi 122 minuti, i toni narrativi ed estetici: passiamo dal thriller urbano alla commedia nera, al nevrotico mélo contemporaneo, fino alla rappresentazione del mercato dell’arte come simbolo del collasso della società capitalista, corrotta e ignorante; ci sono inoltre suggestioni che, oltre a testuali e scollegate citazioni di iconici artisti contemporanei (Mario Schifano e Andy Warhol sotto forma delle loro opere più pop, Coca-cola e la Marilyn Rosa), rimandano addirittura a Zabriskie Point di Antonioni, con una scena erotica (molto kitsch)  di rotolamento tra i colori, invece che nello spazio ben più metafisico del deserto. Il problema però non è solo e non è tanto nella mancanza di un orizzonte  più esteso del già visto, quanto in alcuni passaggi del racconto che sono confusi e privi di logica, con i suddetti personaggi, più che mai in cerca di un autore,  dei quali non si sa quasi niente e che improvvisamente si trovano o ritrovano catapultati al centro della narrazione, salvo poi sparire o essere uccisi non si capisce bene da chi o perché.

Probabilmente, se avesse avuto una sceneggiatura, di cui tra l’altro è anche autore,  più precisa e composita  (certo, Tarantino….), Della Valle avrebbe  quantomeno mimetizzato l’acerbità del suo sguardo sotto la fecondità di dialoghi meno astrusi da un lato (tutti i monologhi del gallerista) e più serrati e avvincenti dall’altro. Qualche sequenza costruita con sapienza qua e là si intravede anche (l’esplosione improvvisa della galleria d’arte, l’apparizione segreta e quasi fantasmatica della desaparecida star del pop Anastacia), ma per il resto ci aggiriamo tra le macerie di uno scenario di segni filmici desunti e non ispirati, in cui appaiono, appesantite dal tempo, due promesse mancate come Jonatham Ryhs Meyers (fu Velvet Goldmine) che interpreta il gallerista e Emile Hirsch (fu Into the wild), che presta il suo sguardo ormai allucinato e non più al mafioso/artista. Corpi-fantasma espressione ambulante di  qualcosa che stava per accadere, ma è che rimasto solo come aspirazione e ambizione; un sentimento di disfatta  che, forse inconsciamente, imprimono ai loro ruoli afflitti,  più che tormentati, dall’impossibilità di assurgere a una dimensione tragica. Ci provano anche a farsi (ri)sentire ma la nostra risposta, citando il titolo di un irresistibile (quello sì) divertissement noir e pop di Roman Polanski, non può essere che una: Che?.

In sala dal 19 maggio


American night Regia e sceneggiatura : Alessio Della Valle ;  fotografia: Ben Nott; montaggio: Zach Staenberg  musica: Marco Beltrami ; interpreti: Jonathan Ryhs Meyers , Emile Hirsch, Paz Vega, Jeremy Piven Fortunato Cerlino, Maria Grazia Cucinotta, Marco Leonardi  ; produzione Marta Capello, Ilaria Dello Iacono, Zach Staenberg; origine: Italia 2022; durata: 122′; distribuzione: 01 Distribuition.

 

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