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Voto
Amsterdam
Esistono serie tv che strappano più di qualche sorriso, alcune da lacrime agli occhi, altre che ti costringono a serrare la mascella. Poi ci sono serie che fanno tutto questo allo stesso tempo. Altre ancora, tutto questo e un po’ di più; perché posseggono una voce dell’anima altisonante, che le distingue da tutte le altre, non per ciò che raccontano, piuttosto per come raccontano. Atlanta fa parte di questo ristrettissimo gruppo: eclettica e caricaturale, tragicomica nella sua sincerità, tanto eccessiva quanto acuta.
La maggior parte del merito va certamente a Donald Glover, demiurgo poliartista, cinico e sornione Earn, che continua a forgiare la sua carriera da manager del buono e scontroso cugino Al, alias Paper Boi; stavolta, il gruppetto irrobustito dalla spettrale presenza dello stralunato Darius e dell’evanescente Vanessa – insieme a una gamma di comprimari che potrebbero tranquillamente essere scappati dalle lisergiche pagine scritte da Hunter S. Thompson – passeggiano e scivolano tra i canali di Amsterdam, lontani anni luce dagli inquieti sobborghi di Atlanta, ma sempre sperduti in un’altra stanza del mondo, un labirinto sensoriale e inutilmente troppo eccentrico per poter modificare la realtà delle cose: non esistono “luoghi altri” ci dice Glover, ma solo modi differenti per raccontare, recepire e immedesimarsi nelle stesse identiche dinamiche. C’è il razzismo – edulcorato, snobbato o estremizzato a stucchevole moda new-age -, ci sono i legami di cui abbiamo maledettamente bisogno, che tuttavia non rinunciamo mai a mettere in discussione e c’è la continua e spesso scioccante ricerca di sé, quel lento e doloroso peregrinare verso una consapevolezza che sta sempre alla nostra portata, ma che fatichiamo ad accettare.
Così Amsterdam diventa un classico non-luogo, o meglio un posto dell’anima, forse solo una differente frontiera da esplorare, per poi scoprire quanto il mondo sia sempre lo stesso posto. La magia di Atlanta deflagra attraverso una scrittura volutamente frammentata, a tratti apparentemente dispersiva – gli alternati “salti di contesto” a cui assisitiamo in questi dieci nuovi episodi, sono solo un escamotage per analizzare medesimi contenuti da diversi punti di vista -, ma a dir poco brillante e mai fuori fuoco; i lenti e inesorabili movimenti di macchina e i riflessivi primi piani, oltre a spingere la serie al di fuori dagli ormai svuotati canoni di messa in scena dell’intrattenimento televisivo, per conferirle un tono più marcatamente cinematografico, ricercano e narrano la materiale realtà di personaggi tanto assurdi e indecifrabili, da apparire spontaneamente verosimili. Glover ragiona sulla condizione umana, sulla morbosità dell’ambizione, sulla libertà di poter essere chiunque, senza freni, senza mezze misure; Atlanta è un manifesto dell’assurda realtà in cui versa la società occidentale, tra squinternate manie di grandezza, acida depressione e quell’isterico desiderio di omologare il nostro pensiero. Ecco, allora, come Earn e compagni, seppur catapultati in una dimensione, quella europea, teoricamente più comprensiva e inclusiva, ritrovano tutte le malformazioni umorali e sociali a loro familiari; il razzismo non è più una questione etnica, ma morale, che quasi necessità di essere messo in evidenza perché argomento di discussione e tutte le cose belle fioriscono non perché coltivate col cuore, ma perché destinate ad appassire.

Atlanta resta una serie eccezionale, perché riesce a raccontare la verità con una smisurata dose di nonsense, senza mai accartocciarsi su se stessa, tenendosi lontana dal ridicolo, rinnovando di volta in volta il senso di abbandono dei suoi protagonisti e lo fa con uno sguardo nichilista, a tratti crudele e, per questo, dolcissimo. Perché c’è tanta dolcezza nei silenzi di Earn, nelle occhiate rassegnate di Al, nella mitezza di Darius e nelle insicurezze di Vanessa: quattro personaggi che non accettano quelle etichette con cui tutti gli altri si trastullano, intimoriti dal pensiero globalizzato e custodi di una libertà individuale in costante discussione. Earn, Al, Darius e Vanessa siamo noi o, meglio, dovremmo essere noi: passeggeri irrequieti di una vita troppo strutturata e programmata per essere vera.

Dal 29 giugno su Disney+
Atlanta – genere: commedia, drammatico; showrunner: Donald Glover; stagioni: 3 (rinnovata); episodi: 10; interpreti principali: Donald Glover, Brian Tyree Henry, Lakeith Stanfield, Zazie Beetz; produzione: RBA, 343 Incorporated, MGMT. Entertainment, FXP; network: Disney+; origine: U.S.A., 2022; durata: 30′ minuti; episodio cult: 3×09.
