Bajo las banderas, el sol (Under the Flags, the Sun) di Juanjo Pereira (Berlinale -Panorama)

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A guardare la cartina dell’America del Sud – ed è lo stesso film che così comincia – il Paraguay sembra minuscolo, schiacciato com’è fra i due giganti dell’Argentina e del Brasile. Poi si va a vedere e si scopre che è più grande dell’Italia di quasi centomila chilometri quadrati, ma con un decimo degli abitanti. Del resto, almeno in Italia, chi sente mai parlare del Paraguay, se non in occasione dei mondiali di calcio (l’ultima volta fu nel 2010, quando un misero pareggio contribuì a fare uscire la nazionale già ai gironi).

È dunque merito del giovane regista Juanjo Pereira portarci con Bajo las banderas, el sol, a ragionare sul Paraguay, in particolare sulla dittatura di quel paese, sul dittatore Alfredo Stroessner, rimasto ininterrottamente al comando dal putsch del 1954 fino al 1989 per poi restare vittima a sua volta di un putsch, ordito di fatto da un suo vice e mezzo parente, appartenente dunque anche lui al Partito Colorado, il partito di destra, che fatte salve brevissime interruzioni, governa il paese da sempre.

Si sa e si sapeva molto – sia grazie a documentari che a film di finzione – sulla dittatura argentina, su quella cilena, su quella brasiliana, ma di quella paraguayana, la più lunga (35 anni appunto) di tutto il Sudamerica, la memoria collettiva sa e sapeva pochissimo, anche perché, giova dirlo, non c’è una cinema paraguayano e, come apprendiamo da questo film, di fatto non c’è nemmeno un qualcosa di paragonabile a un archivio nazionale dell’audiovisivo. E allora Pereira si è messo in cammino, ha passato al setaccio centinaia di micro-archivi nel paese e fuori del paese e ha messo insieme una messe pazzesca di materiale che, al momento in cui ha deciso, quasi come gesto di autodifesa, di smettere di raccoglierlo ammontava alla bellezza di 120 ore. Che poi sono state trasformate nei 90 minuti di cui consta il documentario.

Con pochissime eccezioni il materiale è quasi tutto di provenienza governativa e il film si rivela pertanto uno studio sulla costruzione del consenso e della propaganda da parte di un sistema dittatoriale che, paradossalmente e a differenza di molte altre dittature, non ha fatto altro che riempirsi la bocca del termine democrazia. La costruzione del consenso e della propaganda funziona come dappertutto: culto personalistico del capo, a Stroessner ancora in vita sono intitolate tutte una serie di istituzioni e persino l’aeroporto, l’edificazione di statue, la creazione di grandiose opere pubbliche (in questo caso quella che resta ancora oggi la più grande centrale idroelettrica ancora attiva, quella di Itaipú, costruita di concerto con il Brasile), lo sviluppo di una compagnia aerea nazionale, e – questo fatto forse più sorprendente più di tutti gli altri – la cura dei rapporti internazionali: nessuno dei politici di allora che si sia chiamato fuori dall’avere relazioni diplomatiche con un dittatore, né Lyndon Johnson, il successore di Kennedy, né Georges Pompidou, né l’imperatore Hirohito, né Walter Scheel il presidente della Repubblica Federale Tedesca, a cavallo fra gli anni Sessanta e gli anni Settanta che accoglie Stroessner con tutti gli onori, allorché arriva in Germania a visitare la città di Hof, dalla quale provenivano i suoi antenati. E dire che stiamo parlando di un dittatore che, fra i molti altri crimini, senza batter ciglio, all’inizio degli anni ’60 aveva fatto avere la cittadinanza paraguayana a Josef Mengele, dopo la cattura di Eichmann il nazista più ricercato in tutto il mondo, che lascerà il Paraguay non già perché estradato ma perché in fuga in Brasile, per paura di fare la fine di Eichmann, ovvero catturato dal Mossad.

Pur veicolando in brevissimo tempo il messaggio di fondo, il film di Juanjo Pereira, come già si diceva, tutto fatto di footage, è molto ben costruito, sostanzialmente cronologico; il regista si permette soltanto dei piccoli effetti di straniamento attraverso il montaggio, con scene montate all’indietro, qualche ralenti, e – sul piano dei contenuti – anche qualche inversione del punto di vista, con interviste a vittime del regime, pescate quasi del tutto negli archivi stranieri, non essendoci stata materialmente la possibilità di costruire una contro-informazione nel paese. Nei titoli di coda il film riporta con dovizia statistica i numeri dei perseguitati, dei torturati e degli scomparsi, contribuendo in modo lodevole a preservare una base di conoscenze e la memoria culturale del suo paese. il Paraguay.


Bajo las banderas, el sol  – Regia, sceneggiatura: Juanjo Pereira; fotografia: Francisco Bouzas y Pascual Glauser; montaggio: Manuel Embalse, Juanjo Pereira; produzione: Cine Mio, Sabaté Films & MaravillaCine; origine:  Paraguay/Argentina/ USA,/Francia, 2025; durata: 90 minuti.

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