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Con un biglietto da visita niente male, ovvero il premio alla regista ucraina Maryna El Gorbach nella categoria “World Cinema Dramatic Competition” al Sundance Film Festival del 2022, il notevole Klondike, aveva ricevuto dal pubblico pagante il secondo premio della sezione Panorama della Berlinale dell’anno scorso – ora finalmente dopo un’anteprima alla Festa di Roma approda anche nel nostro paese proprio in occasione del primo anniversario dell’inizio della guerra con la Russia.
Ciò che può indubbiamente avvantaggiare il film è la sua clamorosa attualità poiché il film si svolge al confine fra l’Ucraina e la Russia, nella regione del Donbass, nella regione cioè dove dal 2014 è in corso una guerra che vede affrontarsi da un lato i separatisti ucraini appoggiati dai russi e dall’altro l’esercito nazionale ucraino.
Il film, basato su eventi reali come ci viene detto fin dai titoli di testa, è collocato proprio nel 2014, segnatamente in corrispondenza con il famigerato (a quanto sembra: involontario) abbattimento, da parte della contraerea russa del MH 17, dell’aereo della Malaysia Airlines con a bordo quasi 300 passeggeri, in larga parte olandesi. Siamo dunque nel luglio 2014 e la fusoliera dell’aereo nonché alcuni cadaveri giacciono sparpagliati nella campagna neanche troppo densamente popolata.
L’abbattimento dell’aereo non è stato l’unico “errore”, poiché una bomba ha divelto il muro esterno della casa, anch’essa piuttosto isolata nella campagna, dove abita il contadino Tolik (Sergiy Shadrin) con la moglie Irka (Oxana Cherkashyna) in avanzato stato di gravidanza, insieme alla mucca Maya e alle galline, in un contesto sostanzialmente rurale. La bomba rappresenta l’irruzione della Storia nelle vicende personali di una coppia che sarebbe disinteressata al conflitto, in un contesto invece in cui non schierarsi sembra impossibile: o sei filorusso o sei filoucraino, o stai da una parte o stai dall’altra, una qualche divisa la devi indossare. A Tolik invece interesserebbe solo portare in salvo la moglie in modo che il parto avvenga in sicurezza, ma l’ospedale non è raggiungibile, perché gli hanno persino portato via l’automobile, tanto che per il momento i due si arrangiano a rendere abitabile quel che resta della loro casa, facendo finta che nulla sia successo, il parto non sembrerebbe alle porte: Irka munge la mucca, essa stessa traumatizzata dai continui scoppi, Tolik cerca, con una betoniera di fortuna, di ricostruire il muro. In questa specie di iniziale Kammerspiel, gioco forza en plein air,compare quasi subito una terza persona, ossia Yarik (Oleg Sherbina), il fratello un po’ sopra le righe di Irka, che vorrebbe trasformare la sorella e soprattutto il cognato in un patriota. Senza grande successo, perché – lo ripetiamo – a Tolik interesserebbe solo portare in salvo Irka. Fin quando la situazione diventa ingestibile, drammatica, tragica in un finale per tanti aspetti memorabile. E la guerra, fin qui palesatasi in modo apparentemente “gestibile”, si manifesta in tutta la sua efferatezza. Nella parte finale, non casualmente, è la prospettiva di Irka quella che la regista privilegia, la guerra appare come una vicenda decisamente maschile e maschilista, e la protagonista cerca nel suo piccolo, nel suo Grande di opporvisi, facendo in circostanze drammaticissime la cosa più importante, la cosa più bella, cioè dando vita, ciò che finisce per conferire un afflato utopico al film, che per il resto è segnato da sequenze tetre e brutali, come pochi altri visti di recente.
Come hanno giustamente visto al Sundance, la regia di Maryna El Gorbach (al suo primo film girato interamente da sola, fin qui aveva diretto sempre insieme al marito Mehmet Bahadir Er, di origine turca, da cui deriva probabilmente anche il fatto che il presente film è una co-produzione ucraino-turca) è certamente notevole, con un uso frequente di panoramiche laterali anziché della camera a mano, ormai diffusissima nei film di guerra a voler rappresentare l’equivalente formale del caos. Qui invece la macchina da presa è stata piazzata in larga misura su un cavalletto, nel (vano) tentativo di mantenere un qualche ordine, anche questa scelta estetica da valutarsi, forse, in senso utopico.
Ciò che lo spettatore stenta a comprendere, è il titolo, ossia Klondike, anche perché nessuno dei personaggi vi fa il minimo riferimento. Che il Donbass fosse (sia) una regione particolarmente ricca di materie prime, lo si sa, una possibile ragione che può aver volentieri indotto i russi a supportare le velleità insurrezionali e indipendentiste degli ucraini, ma si fa fatica a paragonarlo ai bacini auriferi canadesi.
Recensendolo l’anno scorso da Berlino, avevamo sperato che il film potesse riuscire ad arrivare anche in Italia. Siamo stati accontentati.
In sala dal 23 febbraio 2023.
Cast & Credits
Klondike; regia, sceneggiatura, montaggio: Maryna El Gorbach; fotografia: Sviatoslav Bulakovskyi; interpreti: Sergiy Shadrin (Tolik), Oxana Cherkashyna (Irka), Oleg Sherbina (Yarik); produzione: Kedr Film, Kiev, Protim, Istanbul; origine: 2022 Ucraina, Turchia; durata: 100′; distribuzione: Invisible Carpet.
