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Dal vetro rotto dello smartphone, povere immagini da Gaza. Dal Belgio, Hazem assiste impotente alla catastrofe che subisce il proprio paese. La mappa satellitare riporta ancora i luoghi in cui ha passato tutta la sua vita, ora però distrutti dalla guerra. È la tecnologia digitale ora che cerca di colmare la distanza che lo separa da casa. Intanto, Elettra filma Hazem. Si incontrarono proprio in Belgio, dove Elettra era andata a studiare l’arte cinematografica e Hazem si era rifugiato dopo la fuga. Anche Elettra utilizza la tecnologia per ridurre una distanza: la camera sarà il mezzo per comprendere meglio il proprio partner, per intensificare un rapporto di coppia. Ma sarà anche veicolo di una contestazione della triste condizione in cui versano i rifugiati palestinesi. La richiesta del visto di Hazem viene respinta con sua grande sorpresa. È quindi costretto a rimettersi in viaggio, stavolta in direzione Grecia, dove già era passato in precedenza prima dell’approdo in Belgio. Ma anche la Grecia si rivela una tappa di un’odissea nella burocrazia europea: prima un controllo all’arrivo fin troppo scrupoloso, sintomo secondo Hazem di razzismo, poi un errore nella documentazione. Elettra riprende ogni momento, anche a costo di tenere nascosta la camera e lasciare lo schermo nero. Vuole documentare la disparità di trattamento tra i due, così simili ai loro occhi, così diversi secondo la legge. Ne risulta la più tipica storia d’amore impossibile in quanto minacciata dal padre padrone, in questo caso lo Stato.
L’approccio diaristico di Elettra rende testimonianza delle frustrazioni emotive e delle dinamiche di coppia durante il calvario. Non esiste mai un controcampo che si distacchi dalla loro prospettiva e tenti un’analisi oggettiva della questione. Il film risulta quindi piuttosto vago riguardo, ad esempio, al razzismo sistemico nel comportamento alla dogana e negli uffici d’immigrazione. Il punto di vista soggettivo ci può infatti solo dare atto del devastante impatto emotivo che ha la burocrazia sui migranti, mentre ben poco ha da dire sullo stato della burocrazia europea in sé.

Lo sciagurato viaggio viene intervallato qua e là da filmini d’archivio che arricchiscono il ritratto amorevole e contrastato di Elettra verso il proprio partner, in particolare la sua passione per il pattinaggio. Ma una poesia letta non rende un film poetico. Il montaggio cerca di elevare il materiale sopra a un semplice vlog, ma certamente non raggiunge mai lo status di vero cinema.
Lo scorso novembre il film, allora ancora un progetto, giunse alla cronaca cinematografica per essersi ritirato in protesta dal mercato del festival del documentario di Amsterdam (IDFA) in seguito a delle infelici dichiarazioni anti-palestinesi del direttore della manifestazione. Gesto audace, come pure quello di tentare d’imprimere la propria intimità in un’opera artistica. Ma le vere imprese, a mio avviso, un’artista deve realizzarle non attraverso gesti extra-filmici ma dimostrando di saper modellare la materia trattata.
The Roller, the Life, the Fight – Regia e fotografia: Hazem Alqaddi, Elettra Bisogno; montaggio: Geoffroy Cernaix, Elettra Bisogno, Hazem Alqaddi; produzione: Tândor Productions, Gsara; origine: Belgio, 2023; durata: 83 minuti.
