
Presentato in anteprima al Biografilm Festival, Democracy in America è il nuovo documentario di Giovanni Troilo, che esplora la campagna elettorale 2024 nel cuore del Texas orientale, usandola come lente d’ingrandimento sulle fratture che attraversano l’America di oggi. Al centro della narrazione c’è Marlena Cooper, prima candidata afroamericana del Partito Democratico a presentarsi nella contea di Gregg da oltre trent’anni. La sua corsa sfida lo status quo rappresentato da Jay Dean, repubblicano di lungo corso e deputato uscente. Attraverso l’alternanza tra le campagne dei due candidati, il film costruisce un ritratto vivido di una comunità spaccata, in cui i due fronti sembrano appartenere a realtà quasi inconciliabili. I temi affrontati sono tra i più urgenti del dibattito pubblico statunitense: razzismo strutturale, diritto all’aborto, proliferazione delle armi, e il peso della religione nella sfera politica. Troilo compone un affresco sociale potente e inquieto e ci trascina in un viaggio immersivo nelle viscere di uno Stato chiave, tra vecchie paure che ancora dettano legge e speranze di cambiamento.
Domanda: Come è nato il progetto del tuo film?
Giovanni Troilo: Già nel 2008 ero stato negli Stati Uniti per raccontare le elezioni di Obama. Per queste nuove elezioni, abbiamo iniziato a parlare con Sky TG24 circa un anno prima, con l’idea di proporre una narrazione alternativa, meno schiacciata sull’unilateralità del racconto tradizionale. Inizialmente volevamo seguire uno swing state, ma erano troppi e imprevedibili. Alla fine, abbiamo scelto il Texas, dove il risultato sembrava scontato – ed è proprio lì che, paradossalmente, è accaduto qualcosa di eccezionale.
Cosa è successo?
Nella contea di Gregg, roccaforte repubblicana da trent’anni, per la prima volta si è presentato un candidato democratico. Anzi, una candidata: Marlena, donna e afroamericana. Una novità assoluta. Il suo ingresso in campo ha risvegliato una parte di comunità che solitamente si astiene, anche a causa di un sistema elettorale pensato per escludere: la registrazione obbligatoria, l’Election Day che cade sempre in giorni feriali… Marlena ha lavorato molto sul territorio, combattendo contro l’apatia e le difficoltà burocratiche.
Il tuo documentario ha una forma particolare: niente voce narrante, grande spazio alle immagini. Una scelta iniziale o nata in corso d’opera?
Una scelta voluta fin dall’inizio. Mi interessava che fossero i volti, i gesti, i silenzi a parlare. L’approccio è stato quello di non forzare un commento, ma far emergere la tesi in modo organico, anche grazie alla musica. Ci sono scene che parlano da sole, In certi momenti, il grottesco è talmente evidente che non serve sottolinearlo.
Qual è stata la sfida più grande in termini produttivi?
Il tempo. Abbiamo iniziato a montare durante le riprese, grazie a una connessione potente che mi permetteva di inviare materiali giorno per giorno. Dovevamo andare in onda con Sky TG24 e Sky Documentari in occasione dell’insediamento del Presidente, quindi i tempi erano strettissimi: siamo tornati il 12 novembre e il 22 dicembre avevamo già un montaggio piuttosto avanzato.
Nel film emerge un attaccamento quasi viscerale alle armi, anche da parte dei democratici. Un dato sconvolgente per noi europei.
È un aspetto culturale profondamente radicato. Togliere le armi è utopico: sarebbe come togliere un pezzo d’identità. La questione è anche storica. Il Texas nasce da una guerra di indipendenza contro il Messico, è terra di coloni. Questo plasma un’ideologia basata sull’autodifesa, sull’investitura divina – come quando, nel film, uno dei personaggi afferma: “Le armi ce le ha date Dio”.
Nel documentario è chiaro anche il legame fortissimo tra religione e politica.
Assolutamente. In America la religione non è solo un fatto privato, ma un fondamento del patto sociale. La retorica repubblicana è intrisa di simboli religiosi e idee di “popolo eletto”. Questo crea una legittimazione morale anche per scelte discutibili. Ad esempio, un senatore ha iniziato un comizio affermando che i tre nemici dell’America sono: la Cina, i confini e le tasse. È una semplificazione brutale, ma funziona, soprattutto se dettata da un pulpito.
Com’è stato il riscontro al Biografilm?
Molto positivo. Mi piace stare in sala, vedere le reazioni del pubblico. Ho visto persone divertite, altre scandalizzate o sorprese. Sono molto felice dell’impatto e delle reazioni che ho visto.
Democracy in America – Il ritorno di Trump in un Paese diviso – Regia: Giovanni Troilo; montaggio: Adriano Patruno; fotografia: Marco Tomaselli; produzione: Sky Documentaries, in collaborazione con Sky TG24; origine: Italia/Stati Uniti, 2025; durata: 91 minuti (3 episodi); distribuzione: Sky TG24, Sky Documentaries, NOW.
