Bogotà di Kim Seong-je

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Il boom straordinario che ha vissuto il cinema coreano può essere rappresentato dal suo primo blockbuster, Shiri (Kang Je-Kyu, 1999), che apre le porte ad una lunga serie di film che hanno superato al box-office saghe occidentali famosissime come Il Signore degli Anelli, Harry Potter o Spiderman. Altri film di successo in Italia sono Old Boy (Park Chan-wook, 2003) e Lady Vendetta (Park Chan-wook, 2005) e tutto il filone horror rappresentato da opere come Phone (Ahn Byeong-Ki, 2003) e Two Sisters (Kim Ji-woon, 2003).

Negli ultimi anni sembra che il Rinascimento del cinema coreano continui il suo nobile percorso, dando vita a film di grande successo e a capolavori d’autore come Parasite (Bong Joon –ho, 2019), vincitore dell’Oscar come miglior film. Anche chi qui scrive, frequentando il Florence Korea Film Fest, può testimoniare la produzione avvincente e varia di un cinema che ha saputo fare tesoro della storia e della tradizione del proprio paese, e insieme della lezione del cinema occidentale, tra quello autoriale europeo e l’altrettanto, allora, Nuovo cinema americano, più spettacolare, sebbene fervido di idee e di criticismo.

Vedendo il cinema coreano, allora, è commuovente riscontrare tutto ciò, perché i debiti sono evidenti come l’originalità, e l’idea dello studio, dell’applicazione e dell’impegno di giovani coreani sul materiale personale e, insieme, occidentale sembra essere straordinaria. Netflix propone, da poco e subito tra i più visti, Bogotà di Kim Seong-je e per i primi quaranta minuti sembra di rivedere Quei bravi ragazzi (Martin Scorsese, 1990), con il massimo rispetto per un Maestro che è per il cinema mondiale quello che è il Papa per il suo popolo. Ci sono, ovviamente, grandi differenze e la sceneggiatura non ha un respiro tale da essere pienamente coinvolti nell’Odissea del protagonista come in quella di Ray Liotta nel capolavoro di Scorsese, ma il tentativo è talvolta divertente e spesso ci sembra avvincente.

La storia si sviluppa, forse, troppo velocemente, ma alcuni personaggi, come il vecchio boss coreano, un po’ caricaturali, hanno il tempo per essere apprezzati, e il dramma fratricida alla fine del film vale l’intera visione se non si fosse rimasti in precedenza molto soddisfatti. Nel 1997 anche la Corea del Sud è stata vittima della crisi finanziaria che colpì molti Paesi dell’Asia. Proprio per questo motivo diversa gente decise di emigrare all’estero, come la famiglia dell’allora diciannovenne Guk-hee, il cui sogno di trasferirsi negli Stati Uniti si è fermato in quella che doveva essere secondo le intenzioni soltanto una tappa intermedia, ovvero la Colombia. A Bogotà i nuovi arrivati sono costretti a sopravvivere alla giornata e sempre sotto l’ala protettiva del sergente Park, ex commilitone del padre e figura di potere all’interno delle dinamiche locali, sociali e criminali. Dopo essersi guadagnato la fiducia del boss, il protagonista inizia a guadagnarsi sempre più spazio nelle logiche del contrabbando e la sua scalata al potere lo vedrà prendere scelte dolorose, che potrebbero cambiare radicalmente il destino della comunità coreana in città.

Questa, in sintesi, la saga narrata da Kim Seong-je, intessuta di molta azione, sangue, fratellanza e tradimenti, mostrando nella prima parte un certo umorismo scorsesiano, mentre nella seconda si esibiscono dinamiche più drammatiche e shakespeariane. Buona visione a chi vorrà gustarlo e giudicarlo.

Su Netflix dal 3 febbraio 2025.


BogotàRegia: Kim Seong-je; sceneggiatura: Kim Seong-je, Hwang Seong-gu; fotografia: Stephanie Hansen; interpreti: Song Joong-ki, Kwon Hae-hyo, Cho Hyun-chul; produzione: Gina Cifuentes, Johnny J PAR; origine: Corea del Sud, 2024; durata: 108 minuti; distribuzione: Netflix.

 

 

 

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