Bus 47 di Marcel Barrena

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Bus 47 (in originale El 47), il terzo film di “finzione” di Marcelo Barrena,  ha varcato finalmente, dopo alcuni annunzi, i confini della Spagna per approdare anche in Italia.  Stiamo parlando dell’opera  (vedi anche nostra intervista) che ha vinto ben 5 premi Goya nel 2024, il principale Premio spagnolo (con 14 candidature alle spalle). Fra questi 5 niente meno che anche quello per il miglior film. A mio avviso, al di là qualche ingenuità, qualche ridondanza, qualche momento retorico si tratta di un vero gioiello. D’altra parte, pensate ad esempio ai film di Ken Loach. Non sono forse anch’essi a tratti ingenui e retorici? L’esempio, come ben si capisce, non è scelto a caso, perché Bus 47 è il film più loachiano (si dice così?) visto negli ultimi anni.

Un nutrito gruppo di ex contadini provenienti dall’Andalusia e dalla Estremadura lasciano le terre, stufi della miseria e delle vessazioni dei latifondisti. Comprano qualche terreno incolto ai margini delle grandi città, in questo caso Barcellona e si installano lì, fra mille fatiche, costruendo con le proprie mani delle case, che almeno all’inizio assomigliano più a baracche. Come se già non bastasse questo displacement, sono costretti a edificare un tetto nell’arco di meno di 24 ore, perché se la polizia arriva (e la polizia, inesorabile, arriva sempre) e scopre che la casa/baracca non ha un tetto ne dispone la demolizione, una specie di sadica tela di Penelope. A poco a poco la baraccopoli si ingrandisce, lo spirito di solidarietà aumenta ma le infrastrutture continuano a latitare: niente acqua, niente luce, niente posta, niente scuole, e, inoltre, niente linee di trasporti urbani, perché Torre Baró, il quartiere di cui stiamo parlando, è vicina ma in realtà è simbolicamente, mentalmente distantissima dalla grande città, è una borgata collocata al termine di una salita ripidissima, e – come si può immaginare – nessuno si è preso la briga di asfaltare le strade che conducono al borgo.

Manuel Fernández e Clara Segura

Ma i vertici politici, gli amministratori dal primo all’ultimo non ha fatto i conti con Manolo Vital (Manuel Fernández) che non si dà per vinto. È un vecchio comunista che ha visto fucilare suo padre dai falangisti, nell’annus horribilis 1936, che si è sposato a Carmen (Clara Segura), una ex-suora, i due si sono innamorati a prima vista, e ha una figlia Joana (Zoe Bonaforte) nata da un precedente matrimonio. Manolo lavora come autista di un autobus, il 47 appunto, e non riesce proprio a capacitarsi come mai non sia possibile far arrivare una linea urbana fino al borgo dove abita lui, la famiglia e la comunità. Pur al cospetto di un individuo dotato di una inesauribile tenacia, tutti, inesorabilmente, gli rispondono picche, a tratti con un paradossale sadismo. Ormai ha la fama di un rompiscatole. Ma lui non si dà per vinto e decide di compiere un gesto “estremo”: sequestra l’autobus conducendolo faticosamente fin lassù, festeggiato come un eroe da tutta la sua gente. Anche se poi le cose si mettono diversamente. Non racconto altro.

Il film racconta la Spagna degli anni ’70, appena uscita dalla dittatura franchista, ma dove i residui sono ancora davvero tanti, Bus 47 è una storia ironica ed eroica, basata su una vicenda realmente avvenuta; alla fine vediamo sgranate le immagini del personaggio, realmente esistito, a cui il racconto si ispira, scomparso ormai una quindicina di anni fa. Sono molti gli aspetti apprezzabili di questo film: la ricostruzione digitale, probabilmente interpolando immagini di archivio,  della Barcellona anni ’70 con gli autobus di allora, le macchine di allora; la rappresentazione di una Spagna che ancora non ha del tutto imparato a essere democratica, tutti i plot paralleli e le figure di contorno: la storia dell’amico Felipin (Salva Reina), tragicamente scomparso in un incidente, la vicenda della moglie Carmen che surroga l’assenza di una scuola, insegnando a leggere e a scrivere, ma anche ad adulti, ancora analfabeti, le (frustrate) ambizioni canore della figlia, con una commovente scena finale, in cui, a cappella, canta una delle canzoni più celebri contro la dittatura intitolata Gallo rojo, gallo negro, che si ascoltava sempre nel misero giradischi di casa, e che la ragazza ha fatto sua, traghettando così la memoria della resistenza; interessante altresì la dialettica fra tentativo di accoglienza ed estraneità veicolata attraverso la relazione fra spagnolo regionale e catalano.

Insomma un gran bel film.


Bus 47  – Regia: Marcel Barrena; sceneggiatura: Marcel Barrena, Beto Marini; fotografia: Isaac Vila; montaggio: Nacho Ruiz Capillas; interpreti: Manuel Fernández (Manolo), Clara Segura (Carmen), Zoe Bonaforte (Juana), Salva Reina (Felipin); produzione: Mediapro; origine: Spagna, 2024; durata: 110 minuti; distribuzione: Movies Inspired .

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