Captain America: Brave New World di Julius Onah

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A differenza dei personaggi dell’universo Marvel che sono chiamati a interpretare, nel mondo reale gli attori invecchiano o muoiono (in realtà lo fanno anche quelli cartacei che invecchiano poco, ma muoiono spessissimo, salvo poi risorgere). Per questo motivo,  all’eventualità di un ricambio forzato nel cast dei numerosi franchise, la macchina produttiva messa in piedi da Kevin Faige si era da tempo preparata, attuandola, di fatto, alla fine della cosiddetta fase tre con gli sconvolgimenti cui abbiamo assistito in Avengers Endgame (2019).

Uscito di scena Steve Rogers, Sam Wilson (Anthony Mackie) alias l’ex spalla Falcon, supereroe afroamericano alato, come mostrato nella serie Disney + Falcon and the Winter Soldier, decide di indossarne i panni raccogliendone la non facile eredità. Lo ritroviamo oggi impegnato a sgominare il gruppo terroristico dei serpenti, al cui comando troviamo lo spietato Sidewinder (interpretato da un Giancarlo Esposito sempre molto a suo agio nei ruoli da villain). Sidewinder fermato senza non poche difficoltà dal nuovo Captain America e dalla neo-spalla Joaquin Torres (Danny Ramirez) era sul punto di concludere la consegna di un misterioso contenitore a un ignoto compratore.  Scopriremo in seguito che il contenuto non era altro che un nuovo (ma solo per il Marvel Cinematic Universe) minerale extraterrestre: l’adamantio, di cui pare essere ricca l’isola celestiale comparsa nel bel mezzo dell’oceano a seguito dei fatti narrati in Eternals (2021). Grazie all’intervento di Cap, gli USA, guidati dal neoeletto presidente Thaddeus “thunderbolt” Ross (Harrison Ford, che ha preso il posto dello scomparso William Hurt), vogliono trovare diplomaticamente un accordo con l’India, il Giappone e la Francia, per lo sfruttamento condiviso delle immense risorse del prezioso minerale presenti sull’isola. Ma la diplomazia non è certo il punto di forza dell’attuale governo statunitense (come non lo è anche in quello della nostra realtà non finzionale) e durante il Summit organizzato alla casa Bianca tra queste Nazioni accade l’irreparabile: un gruppo di persone di assoluta fiducia del governo attenta alla vita del presidente USA e degli altri capi di stato lì riuniti. Tra gli attentatori, c’è anche Isaiah Bradley, il primo uomo, afroamericano, su cui era stato sperimentato segretamente con successo il siero del supersoldato e di cui, per decenni, non si è saputo più nulla. La già precaria alleanza tra il nuovo Cap e il Presidente Ross, che inizialmente gli aveva anche chiesto di riformare gli Avengers, è definitivamente compromessa, così come pare definitivamente saltata la prospettiva di trovare un accordo pacifico per lo sfruttamento dell’adamantio. Spetterà a Captain America/Sam Wilson, impedire lo scoppio della terza guerra mondiale e, al contempo, portare alla luce la complessa macchinazione di cui, in un primo momento, proprio il presidente Ross pare essere il sospettato principale. Per venire a capo dell’intricata matassa Cap e il nuovo Falcon dovranno vedersela con un nuovo Hulk di colore rosso che nulla ha a che vedere con Bruce Banner, a differenza del mefistofelico burattinaio che proprio dal passato (anche filmico) del “gigante di giada” pare provenire.

Con il trentacinquesimo film del franchise Marvel, che vide il suo esordio nell’ormai remoto 2008 con l’Iron Man diretto da Jon Favreau, si avvia alla conclusione (finalmente) anche la fase cinque del mastodontico affresco costituito dal MCU voluto da Kevin Faige. Questa, come la precedente fase quattro, hanno in un certo senso rappresentato il nadir della produzione di film incentrati sui Supereoi a fumetti creati da Stan Lee, Jack Kirby e Steve Ditko a partire dal 1963. Due fasi, queste ultime, caratterizzate da una certa disomogeneità di risultati (artistici e al box-office) e dal rischio, consapevolmente assunto, di presentare sul grande schermo le trasposizioni di personaggi per lo più minori dell’universo fumettistico Marvel, nella speranza di replicare il successo de I Guardiani della Galassia, alla cui regia, però, era stato messo James Gunn. Forse la mossa più azzeccata della dirigenza Disney.

Chi fosse preoccupato, visto il preambolo di cui sopra, che per seguire questo nuovo capitolo occorrano ore di full immersion nel flusso narrativo Marvel-Disney oppure una laurea triennale conseguita con lode, ebbene non ha tutti i torti.

Captain America: Brave New World deve destreggiarsi tra una fitta serie di rimandi ad altre pellicole, serie televisive, fumetti e Easter Eggs sparsi un po’ ovunque. Oltre la già citata serie televisiva Disney, il film si ricollega alla pellicola L’incredibile Hulk (2008) diretta da Louis Leterrier, omaggia la run fumettistica di Jeph Loeb e di Ed Mc Guinnes in cui appare per la prima volta il Red Hulk, e la miniserie ret-con a fumetti dal titolo Truth di Robert Morales e Kyle Baker (dove appare per la prima volta Isaia Bradley) e molto altro ancora.

Per nostra fortuna, la pellicola diretta da Julius Onah, già regista di The Cloverfield Paradox (2018), chiamata nel non facile compito di ridestare l’interesse del pubblico nel panorama asfittico dei film di supereroi, schiva, in buona parte, il pericolo di una conoscenza enciclopedica degli antefatti, facendo da ponte tra la chiusa epocale costituita da Avengers Endgame e il futuro prossimo che vedrà l’innesto dei personaggi Marvel i cui diritti erano detenuti dalla 20th Century Fox all’interno del Marvel Cinematic Universe.

Harrison Ford

Onah, assieme al nutrito gruppo di sceneggiatori che con lui ha collaborato, riesce per le circa due ore di durata del film a tenere desta l’attenzione degli spettatori, non sprofondandoli in uno stato catatonico irreversibile. Il cast è azzeccato e “in parte”, e Antony Mackie restituisce bene (lasciamo decidere al pubblico se volontariamente o meno) il senso di inadeguatezza nel vestire i panni del nuovo Cap. Nel mezzo c’è tutto il campionario di questo genere cinematografico: dalle sequenze coreografiche di lotta, alle sparatorie, dallo scontro finale con un nemico all’apparenza inarrestabile, al sacrificio degli eroi, dai momenti dai toni più intimisti a quelli di alleggerimento.

Un’operazione calibrata e al contempo scaltra, in cui un ruolo certamente determinante è stato giocato dalla consueta e imponente macchina promozionale, che non ha certo lesinato spoiler sul confronto finale tra il Capitano e Red Hulk. Basterà tutto questo per sapere se  questa nuova pellicola di Captain America sarà in grado di disegnare questo Brave New World di cui il titolo parla?

La risposta, ovviamente, ce la daranno i posteri. Per il momento basti notare come in questo nuovo mondo cinematografico, tra le nazioni che si contendono lo sfruttamento delle riserve di adamantio la Cina non compaia affatto. Si tratta, anche in questo caso, di una astuta manovra di marketing pensata per non indispettire uno dei mercati più remunerativi per la distribuzione del film, oppure di un tentativo di omettere la perdita di centralità che la diplomazia USA vive sulla propria pelle.

Che relazione intercorre, poi, tra l’impacciato presidente interpretato dall’ottantaduenne Ford (nato, per inciso, nello stesso anno dell’ex presidente Biden) e il muscolare e arrabbiatissimo Hulk Rosso che tutto vorrebbe piegare con l’uso della forza?

Anche in questo caso, lasciamo allo spettatore il (non troppo) difficile compito di trovare le risposte.

In sala dal 12 febbraio 2025.


Captain America: Brave New World – Regia: Julius Onah; Sceneggiatura: Rob Edwards, Malcolm Spellman, Dalan Musson, Julius Onah, Peter Glanz; fotografia: Kramer Morgenthau; montaggio: Matthew Schmidt, Madeleine Gavin; musica: Laura Karpman; interpreti: Anthony Mackie, Danny Ramirez, Harrison Ford, Shira Haas, Xosha Roquemore, Carl Lumbly, Giancarlo Esposito, Tim Blake Nelson, Liv Tyler; produzione: Kewin Faige, Nate Moore; origine: USA, 2025; durata: 118 minuti; distribuzione: The Walt Disney Company Italia.

Questo articolo è dedicato alla memoria di Enzo Carlino: libraio, musicista, amico prezioso.

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