Caravaggio a Roma. Il viaggio del Giubileo di Giovanni Piscaglia

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(Ri) Guardare con occhi nuovi all’opera di un artista universalmente riconosciuto, a partire dallo pseudonimo con cui viene identificato e che, a pronunciarlo o anche solo a leggerlo (Michelangelo Merisi “detto” Caravaggio)  evoca già la percezione precisa di una specifica, riconoscibile visione della realtà che ha conosciuto e che ha vissuto, è un’ esperienza sempre stimolante e mai scontata. Caravaggio a Roma. Il viaggio del Giubileo, pur rientrando nella logica produttiva di un documentario divulgativo, celebrativo (come annuncia il riferimento nel titolo all’anno giubilare in corso e al tempo stesso alla sua collocazione nel corso della Storia) e infine dichiaratamente promozionale (di una retrospettiva delle opere caravaggesche a Palazzo Barberini), è realizzato infatti con una cura nell’utilizzo dei materiali a disposizione che apre non solo a una curiosità, ma anche a una riflessione interessa e interessante, a un collegamento tra le immagini  rappresentate sulla tela e quelle viste e vissute per le strade.  Diretto da Giovanni Piscaglia, questo concitato film-evento si apre proprio sui luoghi della Roma di adesso, attraversati dai pellegrini venuti a festeggiare il duplice e coincidente evento del nuovo Giubileo e del nuovo Papa Leone, e si potrebbe aggiungere una terza ragione della spinta a un simile massiccio esodo religioso, il commiato riservato al suo defunto predecessore Francesco. La cornice è dunque data dall’apertura delle Porte sante, legate alle Chiese che secolarmente sono diventate, parallelamente al loro valore di edifici di culto, musei animati e mossi dal passaggio di presenze incrociate tra la ricerca perturbante del sublime e la tensione spirituale contenuta nella contemplazione della bellezza.  Una cartografia delle chiese più magniloquente e significative per il popolo cristiano , le basiche di Santa Maria Maggiore, San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le mura, che  diventa l’ancoraggio al presente di un’ispirazione e di una genesi creative scaturite e sviluppatesi nel corpus culturale, politico, sociale di un altro Giubileo, quello del 1600.

             Davide e Golia

Il racconto della vicenda artistica e umana caravaggesca si concentra proprio sulla sua produzione di carattere sacro, vista, all’interno di un contesto tanto gerarchicamente strutturato, non in linea con una concezione consolatoria e fideistica del potere ecclesiastico, ma nella dissonanza di un gesto/genio che ha fatto emergere le contraddizioni, invece di cercare di risolverle. L’ inziale considerazione sul Giubileo come momento trasformativo, di apertura, di accoglienza e di crocevia, è messa in relazione con alcuni dei dipinti tutt’oggi impressionanti per potenza espressiva e singolarità compositiva. L’artista, in questa lettura, si fa tramite e congiunzione, squarciamento e ricomposizione secondo nuovi canoni, tra la classicità e la modernità, trasfigurando un simile contrasto nell’utilizzo della luce, il più determinante elemento del suo approccio al linguaggio pittorico: e il chiaroscuro non è spiegato solo come ricerca di un determinato effetto visivo, ma essenziale scenario su cui delineare e da  far staccare plasticamente i soggetti umani, gettandoli nel flusso di un’azione che, nel caso delle opere a tema religioso, ha a che fare con il martirio e con la morte. Nel racconto che si intreccia fatto da storici dell’arte , da galleristi, da studiosi, da sacerdoti, con l’inserto anche di un artista contemporaneo (lo scultore Iago che pone l’attenzione sulle prime nature morte del Caravaggio contrapponendo l’ineluttabilità e la lentezza della decadenza biologica con la fine auto ed etero imposta dalla violenza antropologica) si sottolinea l’intersecarsi dell’uomo Caravaggio, impulsivo, passionale e rissoso,  con la necessità del pittore di riportare il proprio laico calvario esperito fino in fondo, in prima persona, e raffigurando tra l’altro lo stesso proprio volto in un’indiretta forma di autoritratto. E spesso questa autorappresentazione tra la folla, avviene in quelle opere dove mostra l’uccisione e il martirio di santi (San Matteo e Sant’Orsola), cercando in essi una risonanza che annuncia un presentimento al di là del significato testimoniale; la sua vicinanza con Sant’Orsola soprattutto, in una sorta di stato di trance estatico al cospetto dell’apparizione di una luce mortale, è la cattiva novella di una fine che sarebbe stata imminente ( l’opera è del 610, poco prima della morte di Caravaggio). Lo zoom che scorre e che si  si avvicina sui dettagli dei quadri, rendendoli dei testi dinamici  e aperti a prospettive, direzioni e interpretazioni senza ricorrere alla più passivizzante e invasiva pratica della riproduzione e  dell’animazione tramite AI, è strutturato e costruito con efficacia, nella restituzione della matericità tridimensionale dell’opera anche in quanto oggetto da esporre e da osservare ( comprensibile anche in un’ottica di intelligente marketing, viste che saranno quelle i dipinti che gli spettatori ritroveranno nei musei).

Ma Caravaggio è stato anche colui che ha squarciato la dimensione idealista e armonizzante  dell’arte rinascimentale e ha introdotto lo straripamento della realtà dei corpi e dell’espressioni facciali, portarti all’iperbole di un proto iper-realismo o, in una lettura storicamente più pertinente, all’affermazione, specie sulla scena romana, di un stile barocco, eccedente, teatrale. Il palcoscenico  di una commedia umana che ha i colori e le densità della tragedia, ma anche la sensualità e la carnalità dei modelli in carna e ossa, con le Madonne e le Maria Maddalene, le sante disincarnate e le peccatrici scalze, sovrapposte in un immaginario all’epoca ripudiato, perseguitato, bandito. Questa profonda e radicale umanizzazione del pantheon delle santità cristiane rende molto più comprensibile l’ascendenza cosi a lungo termine che ha avuto Caravaggio, anche fuori dal mondo della pittura:  se si pensa alla storia del cinema, un autore che a livello iconografico e figurativo ne ha ripreso alcuni stilemi è stato senz’altro Pier Paolo Pasolini, al quale lo lega, non a caso, uno struggimento interiore nel propendere verso il trascendente, rimanendo con le mani e la testa affondate nella terra stratificata che lascia segni e spessori, in richiesta di una rinascita e di una rigenerazione (in fondo, l’ascesa celestiale dell’Emilia di Teorema dopo essere passata per la mortificazione e la sepoltura sembra la parafrasi di una parabola caravaggesca). E anche affidare il ruolo di una Madonna tragica  (Il vangelo secondo Matteo)  e iconica (Il Decameron)  a due figure a lui diversamente cosi care, vicine e reali (rispettivamente la madre Susanna e Silvana Mangano) viene proprio dalla pratica, introdotta da Caravaggio e in discontinuità con la stilizzazione neoclassica, dei modelli dal vero, spesso amici, parenti ed amanti.

Sfilate di persone e di personaggi sulla passerella di un atelier che per Derek Jarman, un altro autore cinematografico affine al Caravaggio per sensibilità e messa in discussione pubblica del proprio vissuto personale in rapporto con l’arte, si sono manifestati sotto l’aspetto desiderante e vibrante di tableau vivant nel film biografico che il regista inglese ha dedicato all’artista milanese. E, anche se questo documentario conclude la circolarità con il ritorno di Caravaggio, continuamente resuscitato dall’ammirazione pubblica per la sua opera, nell’anno della grazia e del perdono (quello che non riuscì ad ottenere in vita per l’omicidio di Ranuccio Tomassoni da parte di papa Paolo VI), preferiamo continuare a immaginare Michelangelo Merisi “detto” con le parole, ancora una volta, di Iago: colui che ha accolto e attraversato la sofferenza e la gioia, il godimento e il dolore e ne ha fatto l’indistricabile ritratto dell’umanità.

In sala dal 1 dicembre 2025.


Caravaggio a Roma. Il viaggio del Giubileo; regia: Giovanni Piscaglia; soggetto: Didi Gnocchi; sceneggiatura: Eleonora Angius; voce narrante:  Mario Cordova; fotografia: Mateusz Stolecki; montaggio: Matteo Carbon; produzione: Didi Gnocchi per 3D Produzioni, Franco Di Sarro per Nexo Digitale; origine: Italia, 2025; durata: 75 minuti; distribuzione: Nexo Studios.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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