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Il lungometraggio Christy, debutto del giovane regista irlandese Brendan Canty ci porta nella realtà di periferia di Cork, la più popolata città dell’Irlanda dopo Dublino. Qui dove la classe operaia, quella del Labour, lotta da sempre per trovare un posto nella società, e dove, nascere in una strada, in un quartiere invece che in un altro, significa troppo spesso perpetuare disuguaglianze economiche e sociali, perché, per quanto si dica ancor oggi, l’estrazione sociale ed economica dei genitori determina le possibilità di successo o meno del singolo nella società.

Christy (Danny Power) e il fratello Shane (Diarmuid Noyes) hanno entrambi uno shock da superare: la morte per overdose della madre, caduta nella trappola della droga. Ma mentre Shane, il più grande, è riuscito con gran fatica a costruire una famiglia insieme a Stace (Emma Willis) e con lo stipendio di imbianchino riesce a pagare l’affitto di una casa tutta sua, Christy, affidato in famiglia, non riesce a superare l’isolamento affettivo e risponde aggressivamente all’ambiente circostante. Ormai alla soglia della maggiore età, mancano appena tre settimane per compiere i diciotto anni, anche per Christy è arrivato il momento di decidere cosa fare della sua vita.
Sembra quasi che Brendan Canty, riprendendo dove Ken Loach aveva lasciato il piccolo Kes nel lontano 1969, descriva, grazie ad una mdp che quasi non frappone lenti fra noi e il protagonista, le tre settimane di un ragazzo alle prese con il divenire adulto. Tre settimane sono un intervallo di tempo forse troppo breve per crescere e prendere decisioni serie per la vita, specialmente se il periodo è segnato da insicurezze, delusioni e violenza facile; ma abbastanza lungo per dare a Christy l’opportunità di fare i conti con il suo passato familiare e ritrovare i propri punti di forza. E soprattutto metterlo nella possibilità di sentirsi parte di una comunità. È il quartiere, con il suo senso di appartenenza e i suoi individui, ragazzini e adulti, qui rappresentati in un variegato spaccato di caratteri e personalità, che infine risulta decisivo per azzardare la strada da prendere e permettere di guardare con fiducia ad un futuro ancora vago e ignoto. Ed è la gente del quartiere a sostituisce i servizi sociali, che pur costantemente presenti, hanno purtroppo uno spettro limitato di azioni e provvedimenti.

Il Coming-of-age ci consegna tutto sommato un’ottimistica visione delle periferie, i luoghi socialmente più critici della società d’oggi, dove, sembra volerci dire il film, l’emarginazione dell’individuo più debole si contrasta solo con il senso di appartenenza ad una comunità. E ancora dobbiamo ripensare a Ken Loach. Pure il grande maestro del cinema realista inglese nel suo ultimo film The Old Oak (2023) aveva finito concludendo che è la comunità a creare valore. In Christy lo svantaggio di partenza diventa un pugno contro l’odio dell’altro. Perché linguaggio, comportamento e anche perché no, un taglio di capelli particolare, possono fare e creare appartenenza. E soprattutto dare un senso alla vita quando sei stato meno fortunato di altri e questo ‘senso’ quindi non ti è stato regalato alla nascita. Una discreta apertura per la sezione Generation 14plus.
Christy – Regia: Brendan Canty; sceneggiatura: Alan O’Gorman; fotografia: Colm Hogan; montaggio: Allyn Quigley; musiche: Daithi O’Dronai; interpreti: Danny Power, Diarmuid Noyes, Emma Willis, Alison Oliver, Helen Behan, Chris Walley; produzione: BBC Film, Fís Éireann/Screen Ireland, Sleeper Films; origine: Irlanda/Gran Bretagna, 2025; durata: 94 minuti.
