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Voto
C’è un termine tedesco che suona “Milieustudie”, qualcosa come “studio d’ambiente”, non so se esista un equivalente in italiano. Vedendo Città d’asfalto di Jean-Stéphane Sauvaire, presentato in Concorso al Festival di Cannes nel 2023 (allora il titolo suonava Black Flies, come il romanzo del 2009 di Shannon Burke, da cui è tratto), mi è venuto in mente proprio questo termine. Infatti al di là della concentrazione sui due protagonisti, Rut e Ollie (interpretati rispettivamente da Sean Penn e da Tye Sheridan), che formano una squadra di paramedici di emergenza che accorrono in soccorso per le strade di New York, soprattutto, anzi quasi esclusivamente di notte, il film intende soprattutto soffermarsi sulle condizioni estreme, nelle quali si ritrova a vivere questa categoria professionale, sempre e costantemente a contatto con situazioni borderline e, incessante contiguità con la morte. È alla morte infatti che fa riferimento il primo titolo, essendo le mosche dotate di una sorta di sesto senso che permette loro di avvertire la presenza della morte prima ancora che essa intervenga, così almeno si racconta a un certo punto del film, e sicuramente sarà vero.
Ciò premesso (ma ci torneremo), siamo in presenza di un film tratto, come si accennava, da un romanzo uscito più di una quindicina di anni fa (tradotto anche in italiano e nel 2022 addirittura ripubblicato da un altro editore con il titolo ) che Hollywood aveva provveduto molto presto ad acquisire e trasformare in sceneggiatura, senza che però fosse possibile trovare un regista disposto a girare il film e un produttore disposto a finanziarlo, tanto che il testo della sceneggiatura era finito in quella che si è soliti chiamare la black list, ossia la lista degli script in attesa di essere convertiti in film. Seppur in discreto ritardo rispetto alle attese, il film è poi arrivato in pista di lancio, ma solo nel 2019: il regista sarebbe dovuto essere Darren Aronofsky che poi però aveva rinunciato, dopodiché la regia è stata assunta dal francese Jean-Stéphane Sauvaire (1968), che a NYC vive ormai da un bel po’.
Questa strana, lunga genesi spiega anche la duplice firma della sceneggiatura: Ryan King aveva prodotto la versione originale che era tuttavia rimasta ferma per quasi dieci anni, Ben Mac Brown è stato incaricato di rimaneggiarla, una volta stabilito chi avrebbe diretto il film. Non so se l’esito finale sia frutto di un compromesso, fatto sta che il film risulta a più riprese molto molto faticoso, forse proprio in considerazione del fatto che i responsabili non hanno saputo/voluto decidere se appunto limitarsi alla “Milieustudie”, con il ricorso a una casistica piena di eccessi nella misura e sicuramente ridondante nella quantità delle varie tipologie di emergenze incontrate dai sanitari, oppure se concentrarsi più approfonditamente sui due protagonisti e sulle loro relazioni interpersonali.

Lungo tutto il film il regista non riesce proprio a compierla questa scelta e malgrado l’abbondante uso di primi piani volti a favorire l’immedesimazione dello spettatore nei due protagonisti, malgrado le numerose sequenze nell’ambulanza (Sean Penn è negli ultimi tempi destinato costantemente ad esser inquadrato alla guida , dopo Una notte a New York, anche qui è molto spesso al volante) si fa fatica ad appassionarsi più di tanto alla loro vicenda, anche per via di una serie di scelte formali alla lunga piuttosto stancanti: girare quasi sempre di notte, girare quasi sempre con la camera a mano, non allargare quasi mai l’orizzonte, ciò che produce un senso di grande claustrofobia. Il film dura inoltre un po’ troppo, due ore e cinque minuti che si sarebbero potute comodamente accorciare.
Due piccoli dettagli ancora, degni di essere ricordati: in un ruolo marginale vediamo niente meno che Mike Tyson, che recita poco, per carità, ma che non mi sembra affatto male. E, secondo dettaglio, sorprendente forse anche più di Mike Tyson, per ben due volte in momenti topici e altamente drammatici del film ascoltiamo in mezzo a un profluvio di musica da autoradio di impianto marcatamente metropolitano con derive metal, niente meno che il Preludio dell’Oro del Reno di Richard Wagner, come in Nosferatu di Werner Herzog quando Bruno Ganz attraversava la Transilvania verso il castello di Klaus Kinski e come all’inizio di The New World di Terrence Malick. Verrebbe da dire: anche meno.
In sala dal 23 gennaio 2025.
Città d’asfalto (Asphalt City) – Regia: Jean-Stéphane Sauvaire; sceneggiatura: Ryan King, Ben Mac Brown; fotografia: David Ungaro; montaggio: Saar Klein, Katherine Mc Querrey; interpreti: Sean Penn, Tye Sheridan, Michael Pitt, Mike Tyson, Onie Maceo Watlington, Katherine Waterston; produzione: Sculptor Media, FilmNation Entertainment, Projected Picture Works; origine: USA, 2023; durata: 125 minuti; distribuzione: Vertice 360.
