Torino Film Festival (Fuori Concorso): Coda di Sian Heder

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Esiste un bel film tedesco che porta il titolo, oltremodo poetico, di Jenseits der Stille (ovvero: Al di là del silenzio). Il lungometraggio, girato dalla regista Caroline Link nel lontano 1996, ottenne negli anni a venire numerosi premi e riconoscimenti (fra cui l’oscar tedesco, il Deutscher Filmpreis e il Gran Prix al Tokyo International Film Festival), fino ad avventurarsi sul tappeto rosso degli Oscar. La cinepresa ci narra la storia di Lara, una ragazzina dall’animo vivace e con una passione viscerale per il clarinetto. La conosciamo in tenera età, fra i banchi di scuola, la osserviamo vestire i panni di giovane adulta nel commovente tentativo di tracciare un ponte filologico fra il suo mondo e quello dei genitori non-udenti. La vediamo crescere fra la madre, creatura eterea e ombratile destinata ad abbandonare prematuramente la scena, e il padre, devoto ambasciatore di un nido domestico innalzatosi oltre le nostre chiassose Colonne d’Ercole. Quando Lara decide di rompere il muro del suono e trasferirsi a Berlino dalla zia Clarissa, ex musicista dall’animo zingaresco, il fragile e silente equilibrio del focolare minaccia d’infrangersi contro l’irrefrenabile turbine di una vita esterna ed estranea. La pellicola si chiude con un’audizione ad un prestigioso conservatorio e il fatidico concerto in cui la protagonista si svela al genitore senza filtro alcuno, aggrappandosi a quel filo d’Arianna che in fondo non si è mai allentato.

Ora, al piccolo cinefilo che soggiorna nel nostro animo dovrebbe accendersi più di una lampadina: la toccante parabola sull’incomunicabilità messa in scena dalla Link ha infatti generato, nel corso dell’ultimo decennio, una ricca progenie di eredi – fra cui senz’altro spicca La famiglia Bélier di Éric Lartigau, detentore del Premio César e del Premio Lumière 2015. Pare che Al di là del silenzio il cinema abbia trovato un chiave di volta interessante, raccogliendo ad ogni riproposizione calorose conferme.

E così finalmente arriviamo a Coda, ultima fatica della regista statunitense Sian Heder e titolare ufficiale di svariati Ori targati Sundance Festival 2021. Facciamo mente locale e riavvolgiamo lo spartito: qui Lara si chiama Ruby (una deliziosa e introversa Emilia Jones), la famiglia cambia nome e adotta l’anonimo appellativo di Rossi, l’azione si sposta oltreoceano e finisce per indugiare a lungo tra i flutti, sul peschereccio in cui il padre Frank (Troy Kotsur) e il fratello Leo (Daniel Durant) trascorrono le giornate. Costretta fin da bambina a rimettere ordine nella silente entropia parentale, la ragazza barcolla fra antipodi linguistici apparentemente troppo distanti per trovare un vero punto d’incontro, e corre dalla nave paterna al liceo, dal liceo alla sua cameretta in cui ogni cosa è (guarda caso) sottosopra – basti pensare al letto sfatto carico di vestiti, alle pareti tappezzate di adesivi, al soffitto rimbombante poster e fotografie o ai vinili delle Shaggs incastrati nel vecchio giradischi.

Ruby non suona il clarinetto, ma in compenso sa cantare: a questo punto, i tempi sono maturi per introdurre la zia Clarissa – qui nei panni dell’eccentrico professore Bernardo Villalobos (Eugenio Derbez), che subito riconosce nell’adolescente un talento straordinario. Alla routine giornaliera si aggiungono dunque le lezioni private in vista di una borsa di studio al Berklee College of Music, e magari uno zuccheroso duetto con il ragazzo più popolare della scuola. C’è da dire, tuttavia, che la Heder si dimostra bravissima a correggere il tiro, riportando la propria automobile cinematografica in carreggiata e trasformando i momenti potenzialmente stucchevoli in piccole perle dal retrogusto dolceamaro. Inoltre, la strana orchestra qui riunita si diverte ad alternare il fortissimo della normalità udente al pianissimo della normalità non-udente, illuminando la precarietà che contraddistingue entrambi i concetti e generando attraverso la loro sovrapposizione un’insolita quanto sgradevole cacofonia.

Del resto, il film traccia la coda di una gioventù ancora acerba, di una quotidianità sospesa fra ordinario e straordinario, cercando di riscrivere l’equazione che possa ricongiungere due galassie lontane anni luce. Il risultato appare quasi sgraziato, ma il breve movimento musicale di cui Ruby è protagonista ed esecutrice non segue i canoni tradizionali. Come di consueto, il sipario si chiude sull’audizione al college, forse l’unico momento eccessivamente lezioso dell’intera pellicola: la regista abbandona la Link e segue Lartigau, unendo canto e lingua dei segni in un emozionante coro a più voci.

Non siamo sicuri fosse necessario rendere esplicito ciò che può rimanere sotteso: l’ultima performance di Lara, infatti, non aveva bisogno di traduzioni o intermediari, ma conteneva le note di un affetto universale che non richiede intercessioni e si concreta in una dimensione al di là della musica o dei suoi mutismi.

In uscita nel 2022.


Cast & Credits

Coda – Regia: Craig Gillespie; sceneggiatura: Sian Heder; fotografia: Paula Huidobro; montaggio: Geraud Brisson; interpreti: Emilia Jones (Ruby Rossi), Eugenio Derbez (Bernardo Villalobos), Troy Kotsur (Frank Rossi), Ferdia Walsh-Peelo (Miles), Daniel Durant (Leo Rossi), Marlee Matlin (Jackie Rossi); produzione: Vendôme Pictures, Pathé Films; origine: USA, Francia 2021; durata: 111’; distribuzione: Eagle Pictures.

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