-
Voto
Dopo Una madre, con Come gocce d’ acqua Stefano Chiantini continua la sua indagine fatta di mezzi toni e apparenti implosioni, spostando l’attenzione sull’altra faccia della genitorialità, quella paterna: a questa figura presta il proprio volto, situato nella zona di mezzo tra la spavalderia del guascone romano e l’asprezza di un certo maschile ferito ( “anima fragile”, prendendo a prestito il titolo di un celebre brano di Vasco Rossi), Edoardo Pesce, specializzato fino a questo momento in ruoli abitati più dal disagio auto ed etero distruttivo, che dalla capacità di chiedere aiuto e offrire tenerezza ( l’animalesco, rozzo ex pugile e delinquente Simoncino trucidato nella toiletteria/mattatoio di Dogman, il marito violento e abusante di Fortunata).
Il personaggio si chiama Alvaro, fa il camionista e stravede a distanza ravvicinata per una figlia, Jenny, nuotatrice di belle speranze. Il primo spiazzamento del racconto prende subito una direzione, per poi deragliare volutamente: non assisteremo infatti alla nascita di una campionessa proveniente dal (solito), problematico contesto sociale di periferia romana ( con annessi le sottolineature dialettali, l’ aria miserabilista e il tono mesto, come ebbe a rappresentare in maniera efficacemente parodistica Emanuela Fanelli in uno sketch televisivo); gli eventi si concentrano quasi da subito intorno ad Alvaro che, durante il viaggio di ritorno dopo una promettente vittoria in vasca di Jenny, a causa di un ictus si accascia davanti a lei, sulla riva simbolica di un mare che avrebbe dovuto sancire il loro riavvicinamento. La ragazza, tendenzialmente luminosa e vitale anche nel suo rapporto con lo sport che attraversa con le tensioni e gli slanci di un giusto agonismo, è infatti ostile di quell’uomo colpevole di essersi innamorato di un’altra donna e di aver abbandonato lei e la madre.

Si tratta però di un rifiuto apparente, in quanto davanti al crollo di Alvaro, che intuiamo generoso e pieno d’amore e di cure verso di lei, Jenny mette tra parentesi non solo l’astio estemporaneo, ma perfino la propria vita, restituendo e recuperando centralità quella relazione. C’è inoltre un elemento in più, che giustifica anche la scelta del titolo, e che riguarda l’intensità di un rapporto che sconfina dalla dedizione filiale per rasentare sul filo della simbiosi e dell’identificazione. Jenny accetta di rischiare la propria nascente carriera di talentosa nuotatrice e l’altrettanto nascente amore con un dolce e comprensivo compagno di squadra, per stare vicino al padre , rimasto in parte paralizzato e non autonomo dopo l’ictus con tutto il conseguente stato di prostrazione e frustrazione psicofisico.
Una condizione estrema nella quale i due si barricano gradualmente insieme, escludendo, come avveniva in Amour, gli altri ( il badante, gli amici, la stessa madre di Jenny , più ambivalente e omissiva di quello che crede la figlia), fino allo svelamento di un fatto del passato tenuto nascosto che dovrebbe cambiare il corso delle cose, e invece ne rafforza il segno, ne sancisce la tenuta e ne annuncia la conclusione e la deflagrazione per apnea e per annegamento.
Ma non prevale la cifra talvolta melodrammatica ed eccessiva del conflitto familiare, ne si impone la lucida e prosciugata ( di lacrime e retorica, ma non di pietas) disperazione del film di Michael Haneke, anche perché in quel caso si parlava di un coppia di anziani coniugi di tutt’altra estrazione sociale, culturale ed economica. L’approccio di Stefano Chiantini rimane in coda a quello dei fratelli Dardenne, come avveniva esplicitamente nella sua opera precedente: un realismo fenomenologico che non si limita a registrare e riprodurre la realtà, ma prende posizione al fianco dei suoi personaggi , ne rappresenta la precarietà e l’attaccamento a quello che li circonda, li tocca, li attraversa. Anche il “segreto di famiglia” non è caricato di chissà quale pathos e apprensione, ma riferito, senza neanche la solennità di una confessione o di una colpa, nella semplicità di una verità che rimette ordine nelle percezioni e nelle ferite.

Ancora una volta, il lavoro sullo spazio e sul tempo è determinante, in quanto sembra che Alvaro e Jenny si muovano tra un alternarsi senza soluzione di continuità di albe e tramonti, quasi a voler contestualizzare il loro trovarsi a metà strada tra la possibilità di un inizio e l’ineluttabilità di una fine. Non c’è nessuna sensazione di preordinato, di fatale o fatalistico, ogni conseguenza è riportata ad una scelta. Alvaro è un gaudente insofferente a qualsiasi indicazione di uno stile di vita sano, Jenny ha una malcelata testardaggine che spesso la rende respingente e solitaria, Margherita, la madre, si mostra a tratti sfuggente e manipolatrice (probabilmente per non affrontare in maniera diretta le responsabilità di un segreto/bugia troppo pesante). Questo intreccio di vissuti e comportamenti è risolto su un piano non di catartica elaborazione attraverso la parola e il dialogo, ma riguarda l’espressione dei sentimenti per mezzo della rappresentazione di un paesaggio sul confine tra l’ indefinito orizzonte del mare e l’astrattezza da non luoghi di alcuni paesaggi urbani, in particolare le stazioni di servizio e i ballatoi dei palazzi nei sobborghi delle città.
Come i personaggi, anche le ambientazioni non sono strettamente e riconoscibilmente connotate a livello geografico, ma diventano la trasfigurazione delle prigioni in cui possono trasformarsi alcuni rapporti oppure delle inattese via di fuga e di libertà che possono aprire. Rispetto alla lettura di questo potenziale, la resa effettiva non è sempre all’ altezza e il rischio di un respiro un po’ asfittico del racconto e dello sguardo si manifesta lasciando in alcuni punti l’ impressione di un giro vuoto.
Prevale però l’ affetto con cui Chiantini si rivolge alle tenui figure di questa umanità in balia delle maree, alle tentano di opporre una forma di resistenza dei sentimenti. E la schiettezza di un cinema italiano che alla ricerca dell’ effetto preferisce il pudore della sottrazione.
In sala dal 5 giugno 2025.
Come gocce d’ acqua – Regia e sceneggiatura: Stefano Chiantini; fotografia: Gianluca Palma; montaggio: Luca Benedetti; musica: Piernicola Di Muro; interpreti: Edoardo Pesce, Sara Silvestro, Barbara Chichiarelli, Giorgia Spinelli, Antonio Zavatteri, Alessandro Mauthe; produzione: World Video Production, Ballandi, Bling Flamingo, Rai Cinema; origine: Italia, 2024; durata: 97 minuti; distribuzione: Bim Distribuzione .
