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Voto
Certo, bei tempi andati quelli dei grandi B-Movie come il leggendario Detour (1945) di Edgar G. Ulmer che inauguravano nuove strade! Ma lasciamo perdere epoche in cui il cinema sapeva produrre, con continuità e con pochi soldi, tante opere memorabile, perché, a veder bene, anche oggi alcuni esempi inventivi non mancano – ad esempio quello formidabile di un piccolo kolossal come The Brutalist – andate assolutamente a vederlo – che è stato realizzato con meno di 10 milioni di dollari (!!!).
Tutto ciò ci offre un comodo assist per introdurre Companion, il debutto alla regia di Drew Hancock, che è stato prodotto con una cifra più o meno analoga a quella spesa da Brady Corbet, ma non ha nessuna pretesa d’essere un film d’autore bensì di genere, sull’esempio, appunto, dei B-movies di un tempo. Sceneggiato dallo stesso neo-regista che era già noto come scrittore di serie tv, qui ci si industria con un certo successo a mescolare insieme fantascienza, thriller psicologico e commedia nera, in una narrazione, a tratti, dal forte impatto emotivo. Il filone tematico è, comunque, tra i più ampiamente sfruttati, quello, appunto, del rapporto tra uomo e robot – tra milioni di titoli, per esempio, ricordiamo Ex Machina (2015) di Alex Garland, oppure più di recente M3GAN (2023) o Subservience di S.K. Dale (2024, visibile su Netflix). Ma proprio riguardo a questi due ultimi titoli, Hancock ha tenuto a distinguersi, precisando che nel suo caso la I.A non va fuori controllo ma è lei stessa ad assumerlo, sovvertendo così le aspettative dello spettatore per alludere ed introdurre questioni come il desiderio di controllo, le dinamiche di potere e la natura dell’autodeterminazione personale.

In apertura, la voce fuori campo della protagonista ci dice come inizia e fa a finire quella che dovrebbe essere una storia d’amore; poi seguiamo in viaggio una coppia apparentemente normale, Josh (Jack Quaid – per la cronaca il figlio di Dennis Quaid e Meg Ryan) e Iris (Sophie Thatcher): Lui certo affascinate quanto dotato di uno sguardo forse da psicopatico, Lei tanto vittima sacrificale ma che alla fine si farà carnefice. I due si recano per un weekend con alcuni amici in una appartata, stupenda villa su un lago, di proprietà di Sergey (Rupert Friend), un ricco e un po’ sospetto imprenditore russo (sempre ormai i soliti russi cattivelli…). Dopo breve tempo, quella che sembra una vacanza tranquilla prende un’inevitabile curvatura drammatica, quando Iris uccide per autodifesa Sergey che la voleva possedere con la forza. Tuttavia, la vera svolta nella narrazione arriva appena dopo nel momento in cui veniamo a scoprire che la protagonista non è una ragazza umana, ma un androide progettato per far compagnia e soddisfare ogni desiderio del suo compagno, in pratica un fuckbot a noleggio.
Sono passati circa una ventina di minuti dall’inizio della storia e rivelata tale fondamentale situazione (ma non è uno spoiler: che la donna sia un robot lo si vede già dal poster o dal trailer), il film prende corpo con vari e avventurosi colpi di scena che coinvolgono gli ospiti della villa, per esplorare le dinamiche di potere (e gli inganni) nelle relazioni umane, soprattutto quelle dominate dall’Ego maschile. Per tale motivo, il protagonista, solo inizialmente presentato come un uomo gentile e amabile, si rivela man mano per quello che è realmente: un personaggio manipolatore e possessivo che ha in testa un diabolico piano ben preciso. Il suo rapporto con Iris/robot è costruito su una totale asimmetria di potere: lei è stata creata per servirlo, mentre lui controlla ogni aspetto della sua esistenza, dalle sue caratteristiche fisiche al suo livello di intelligenza… una situazione di sottomissione non certo nuova, anche se declinata in chiave di tecnologia futuribile.

Senza voler troppo esaltare i possibili sotto-testi della sceneggiatura, il film parte dunque dopo una manciata di minuti da questa premessa di disuguaglianza tra sessi per trasformarsi in un piccolo thriller horrorifico – molto alla lontana e per nobilitarlo alla Funny Games di Michael Haneke – che ci vuole narrare come il desiderio di controllo possa spingere gli individui a trattare gli altri non come pari, ma soltanto come strumenti per soddisfare i propri bisogni.
Nello spazio sospeso di una villa appartata, in uno stile sincretico e senza tempo in cui atmosfere nostalgiche del secolo scorso si alternano a elementi legati alla futurologia, Hancock costruisce allora un piccolo film che, pur non contenendo nessun elemento di vera originalità, si lascia guardare senza troppa noia. Non che ci induca a profonde riflessioni filosofiche la tematica dell’intelligenza artificiale, vista non tanto come una minaccia esterna, ma come uno specchio dei desideri e delle ossessioni umane; oppure che il patriarcato venga criticato attraverso la metafora di una donna robot che si emancipa. Piacerà a chi (ma forse non solo) ama la fantascienza rivisitata in chiave di filosofia casalinga. Consiglio manzoniano per gli acquisti: “Adelante Pedro con judicio”.
In sala dal 30 gennaio 2025
Companion – Regia e sceneggiatura: Drew Hancock; fotografia: Eli Born; montaggio: Brett W. Bachman, Josh Ethier; musica: Hrishikesh Hirway; interpreti: Sophie Thatcher, Jack Quaid, Lukas Gage, Rupert Friend, Harvey Guillén, Marc Menchaca, Megan Suri, Woody Fu; produzione: Zach Cregger, Roy Lee, J. D. Lifshitz, Josh Mack, Raphael Margules per BoulderLight Pictures, New Line Cinema, Vertigo Entertainment; origine: Usa, 2025; durata: 97 minuti; distribuzione: Warner Bros Italia.
