Conferenza stampa di Mohammad Rasoulof in occasione dell’uscita del suo film Il Seme del Fico Sacro

Candidato agli Oscar 2025 come miglior film straniero, Il Seme del Fico Sacro è stato presentato a Roma dal regista iraniano Mohammad Rasoulof in attesa della prossima uscita in Italia prevista per il prossimo 20 febbraio. Ecco come ha iniziato a commentare il film il suo autore.

Mohammad Rasoulof: gli ultimi 46 anni della storia iraniana, dell’avvento della Repubblica Islamica, sono stati pieni di eventi molto difficili e che non sono ancora stati narrati. Per esempio, durante le prime decadi della Repubblica Islamica sono state giustiziate migliaia di persone. Sinora, nessun regista iraniano è riuscito a farci neanche un solo film. C’è questo passato, pieno di storie molto affascinanti che vanno assolutamente raccontate. Quando non mi era stato ancora consentito di lasciare il Paese, non ero in possesso del passaporto, sembrava persino impossibile andare a filmare per strada. Ho iniziato a pensare di realizzare un film basato su degli archivi, usando l’animazione. Oggigiorno, viviamo in un mondo molto interconnesso, anche grazie ai social. Ci sono tantissimi artisti che prima non avrebbero mai potuto abbandonare l’Iran, così, in massa. Questo mi dà speranza riguardo al fatto che sia possibile poter raccontare storie che oggi rappresentano sia il vero vissuto odierno del mio paese, sia che hanno a che fare con il pubblico globale.

Domanda: il cinema iraniano si è sempre contraddistinto per il ricorso all’allegoria e alla metafora. Negli ultimi anni, assistiamo sempre di più ad un’apertura verso la realtà. Ci sono progetti concreti a riguardo? Sappiamo bene che film di questo tipo creano delle ritorsioni su tutti coloro che vi hanno preso parte: cast, troupe, ecc.
Riguardo ai progetti futuri ho tre sceneggiature in mano, pronte, però da quando ho lasciato l’Iran sto viaggiando molto con questo film, e ne avrò probabilmente per molto tempo – comunque non vedo l’ora di fermarmi per capire da dove iniziare. Per quanto riguarda invece i miei collaboratori, l’unica persona attualmente in Iran è l’attrice, che interpreta la madre. Tutti gli altri sono riusciti a lasciare il Paese, alcuni clandestinamente e altri no. E poi ovviamente ci sono tanti membri del cast ancora in Iran. C’è inoltre in atto un processo giudiziario nei confronti di tutti coloro che hanno preso parte alla realizzazione del mio film. C’è chi, come me, sarà sentenziato in contumacia; siamo stati accusati precisamente di propaganda contro il Regime, attentati contro la sicurezza pubblica e diffusione della prostituzione e corruzione.

Soheila Golestan

Soheila Golestan era già stata in carcere.
Sì, è un’artista incredibile. Ha dovuto passare un periodo in prigione proprio durante gli ultimi mesi della rivolta, perché ha pubblicato un video sui social che poi è divenuto virale. Fortunatamente, quando le abbiamo offerto il ruolo, ha accettato di interpretare la parte.

All’interno del film, sono presenti molti video della realtà che documentano il movimento di protesta. Come hai lavorato per inserirli nel processo creativo del film?
Come ben saprete, in Iran il giornalismo è un lavoro difficile in quanto non è consentito filmare le proteste. Quindi sono gli stessi manifestanti, che attraverso i propri dispositivi personali, divengono giornalisti-cittadini. Poi, mandano questi video tra di loro sui social, ma anche all’estero, per documentare alla popolazione internazionale ciò che si sta verificando. Io ero in prigione per i miei film precedenti quando è iniziato il movimento “Donne, Vita, Libertà” e così seguire da dietro le mura del carcere quanto stava accadendo al di fuori era per me un’esperienza alquanto particolare. Quindi, appena sono uscito, la prima cosa che mi è venuta da fare è stato vedere tutti i video che erano stati prodotti fino a quel momento. Poi, ovviamente, sapevo che avrei girato un film clandestinamente. Mi domandavo come poter ricreare delle scene di protesta se il film doveva rimanere nascosto. Mi sembrava fondamentale riconoscere l’importantissimo ruolo dei social nel rendere più forti e coesi gli attivisti e le attiviste. Con la finzione non sarei mai stato capace di restituire la stessa forza della cruda realtà. Era fondamentale giungere dalla finzione alla realtà documentaria.

Come mai la seconda parte de Il Seme del Fico Sacro risulta così lunga e cosa rappresenta la pistola?
Man mano le figlie si accorgono delle bugie del padre, che è un complice dei crimini del Regime. Inoltre, sono molto impressionate dalle vicende dell’amica Sadaf. L’intenzione non è tanto quella di voler agire con la pistola, bensì voler disinnescare il padre. Per quanto riguarda invece i tempi narrativi della seconda parte, ci tenevo a dimostrare quanto le dinamiche interne alla famiglia e il divario che si crea, rappresentino la lotta tra tradizione e modernità. Il ritorno alla casa paterna, ad esempio, per me indica il passato. Vedere l’immagine del santuario così dominante è la dimostrazione che siamo sempre all’ombra del dominio religioso. Volevo poi sottolineare l’aspetto del controllo. Man mano che il film progredisce, andiamo a ritroso nella storia del padre. Drammaturgicamente è di fondamentale importanza comprendere da dove proviene il personaggio, la seconda parte ha una funzione storica. Nella scena in cui la figlia minore è nella stanza piena di musicassette, volevo indicare che la cultura iraniana è molto più ricca di ciò che il sistema vuole mostrarci e che vuole celare: basti pensare a tutta la tradizione del canto delle donne che è vietata oramai da alcuni decenni.

Che ruolo ha la violenza nella scena conclusiva nella lotta contro il sistema?
Il finale è stato girato vicino a Yazd, nel deserto centrale. La straordinarietà del movimento delle donne iraniane risiede nel rigetto di qualunque forma di violenza. Tuttavia, se essa è presente nella parte finale del film è generata dal Regime stesso. Il Regime sprofonda in una tomba che si è creato con le sue stesse mani.

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