Crossing di Levan Akin (Festival di Berlino – Panorama/Film di apertura)

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Il regista Levan Akin

Spesso foriera di ottimi film che riescono talora più e meglio di quelli in Concorso a trovare la strada per la distribuzione nelle sale, la sezione Panorama apre con un’opera di spessore e a tratti anche molto divertente, intitolata Crossing per la regia  dello svedese ma di origine georgiana Levan Akin (1979). L’autore non aveva più girato film da cinque anni, ossia dall’epoca di And Then We Danced (2019) che aveva riscosso ampio successo internazionale (e in Georgia anche un discreto scandalo) ma che in Italia non era mai arrivato – scandalo dovuto alla vicenda incentrata su un coming out omosessuale che in quel paese non era (è) evidentemente molto gradito. Di questioni legate all’identità sessuale tratta, come vedremo, anche questo film (il titolo lo fa intuire piuttosto bene), anche se Crossing – titolo  polisemico se mai ve ne furono – si riferisce in primo luogo all’attraversamento del confine fra la Georgia appunto e la Turchia con cui di fatto il film ha inizio.

Di questo attraversamento via mare da Batumi (terza città georgiana, affacciata sul Mar Nero) a Istanbul, sono protagonisti due personaggi che fino a poco tempo prima di partire neanche si conoscevano, due personaggi entrambi belli densi, di quelli che bisogna saper delineare (primo grande merito del nostro regista-sceneggiatore). Da un lato Lia (l’attrice georgiana è molto brava, anche se non è particolarmente celebre internazionalmente né è stata particolarmente attiva, in ogni caso si chiama Mzia Arabuli), che è una ex insegnante di storia, fra i 60 e i 70 che decide di lasciare il proprio paese e andare a Istanbul, dove non è mai stata (probabilmente non è mai stata da nessuna parte) per cercare Thekla, il figlio trans della sorella defunto, a cui, in articulo mortis, ha appunto promesso di ritrovarl* per provare a ricondurl* sulla retta via.

Di Thekla da molto tempo si sono perse la tracce e andarl* a cercare a Istanbul equivale alla classica ricerca dell’ago nel pagliaio. Si offre di aiutarla un secondo personaggio, Achi,  un ragazzo neanche ventenne, un simpatico cazzone senz’arte né parte, che coglie l’occasione di lasciare Batumi e la casa dove vive (vegeta) insieme al fratello molto più grande di lui che non perdeva occasione di ricordargli quanto sia un parassita. Che cosa ha da offrire Achi a Lia? Lo si capisce da subito: nulla di nulla. Dice di sapere un po’ di turco e all’occorrenza un po’ di inglese, ma non è vero, dice di avere l’indirizzo di Thekla che sostiene a suo tempo di aver conosciuto, ma non è vero. Il bello è che Lia lo sa ma si fa accompagnare lo stesso, chissà forse per non compiere questo viaggio da sola.

Ed eccoli dunque approdare, novelli Don Chisciotte a Sancio Pansa, sulle rive del Corno D’Oro, al termine di un viaggio marino, interrotto più volte dalle riprese, già sulla nave, di un giovanissimo chitarrista e di una ragazzina che l’accompagna (i personaggi torneranno) e da uno stacco, già in città, dove il regista prende dimestichezza con la comunità trans, quasi a precedere i pellegrini in cerca di Thekla. Questo multiprospettivismo del film è molto gradevole e induce nello spettatore una serie di deduzioni che poi vengono sistematicamente disattese e sabotate. E anche questo è un grande merito di Akin: giocare con una drammaturgia evenemenziale e legata alle imperscrutabili leggi del caso, e al tempo stesso sorprendere e smentire. In tutto questo i due personaggi principali, in mezzo a diversi tira e molla, restano tali, è su di loro che resta appuntata la maggior attenzione e, come già dicevo, sono due figure a tutto tondo che trovano nel corso del tempo anche una paradossale, plausibile e comica sintonia.

Soprattutto la seconda parte del film configura almeno un terzo personaggio, su cui non aggiungerò altro, nella convinzione che il film ha tutte le carte in regola per essere distribuito, volendo evitare rivelazioni in eccesso. La pregevole sceneggiatura del film è inoltre arricchita da un’attenzione nient’affatto corriva e turistica nei confronti di Istanbul, il film di Akin è infatti anche un notevole film metropolitano  che ben si intreccia altresì a diversi altri generi: il road movie, il melodramma, la commedia, il film a sfondo sociale, una commistione non dissimile, peraltro, dai migliori film del suo omonimo turco-tedesco, ossia Fatih Akin.

Insomma la sezione Panorama comincia davvero bene.


Crossing; regia, sceneggiatura: Levan Akin; fotografia: Lisabi Fridell; montaggio: Emma Lagrelius, Levan Akin; interpreti: Mzia Arabuli (Lia), Lucas Kankava (Achi), Deniz Dumanli (Evrim); produzione: Mathilde Dedye per French Quarter Film, Adomeit Film, Easy Riders Film, Bir Films; origine: Svezia/Danimarca/Francia/Turchia/Georgia, 2024; durata: 105 minuti.

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