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Sono trascorsi quasi trent’anni e all’incirca venticinque film, da quando Clint Eastwood, nel 1992, dichiarò che Unforgiven, in italiano Gli spietati, sarebbe stato il suo ultimo western. All’epoca Eastwood aveva sessantadue anni e interpretava un vecchio pistolero. Adesso Eastwood di anni ne ha 91, appare, indipendentemente dagli acciacchi del personaggio che interpreta (Mike, ex cowboy, domatore di cavalli, esperto di rodeo, sbalzato violentemente da cavallo e salvo per miracolo) alquanto malfermo sulle gambe, una voce vieppiù arrochita e poche, pochissime espressioni del volto di un attore che ha sempre e comunque saputo capitalizzare al massimo la sua non estrema multiformità espressiva. La figura allampanata dell’attore finisce per rendere paradossale e quasi involontariamente comico lo spunto da cui parte il film: Howard, un ranchero, che nei momenti difficili ha protetto Mike e lo ha aiutato gli chiede, come una sorta di contropartita, di andare a recuperare il figlio in Messico, tenuto in ostaggio dalla ex moglie (una “sciantosa” alcolizzata messicana) e che è finito in diversi giri semi-delinquenziali, fra gli altri i combattimenti clandestini fra galli, potendo fra l’altro disporre di un eccellente esemplare di quella specie, denominato proprio Macho, il primo macho di cui al titolo (ma su questo vedi più avanti).
Insomma si fa fatica a immaginare come un ranchero che voglia ottenere quel risultato si affidi a un signore di novant’anni per quanto ben portati. Ciò inficia fin dall’inizio la credibilità del film, è inutile negarlo. E anche altre sequenze che da questa premessa, derivano si fa fatica a considerarle plausibili: gli inseguimenti, le fughe, per arrivare alla sequenza in cui Mike torna a domare un cavallo (con tutta, troppa evidenza affidata a una controfigura) oppure a quella in cui, malfermo, languidamente danza con la vedova Marta di cui s’innamora, e più in generale la deriva romantica che il film prende da un certo punto in avanti non risulta affatto convincente. A questo difetto ontologico si aggiunge altresì il fatto che il giovane attore Eduardo Minett che interpreta il ragazzino che risponde al nome di Rafa è decisamente scadente.
Un discorso a parte lo merita la sceneggiatura. Il progetto ha avuto una gestazione protrattasi per più di quarant’anni. In una data imprecisata lo scrittore Richard Nash (1913-2000) fece pervenire alle Majors hollywoodiane una sceneggiatura che venne totalmente sdegnata, al ché Nash novellizzò (come si diceva una volta), ovvero trasformò in romanzo, correva l’anno 1975, quel testo. Il romanzo ebbe un successo straordinario, al punto che Hollywood tornò a farsi viva con l’autore, chiedendogli di trarne una sceneggiatura (più o meno la stessa che era stata scartata!) che divenne anche oggetto di un’asta. Molte furono le ipotesi di effettiva realizzazione nel corso dei decenni, sia in relazione alla regia che in relazione all’individuazione del protagonista, fra gli altri interpreti presi in esame: Roy Scheider, Arnold Schwarzenegger e – incredibilmente – lo stesso Eastwood, ma correva l’anno 1988 e l’attore rifiutò ma valutò, allora scartandola, l’ipotesi di girare lui stesso il film affidando la parte a Robert Mitchum (all’epoca “soltanto” settantenne). In occasione dell’uscita del film è stata pubblicata, proprio una settimana fa, anche in Italia la traduzione del romanzo di Nash presso l’editore Pienogiorno. E anche questa vicenda e la ricapitolazione dei nomi presi in esame non fanno altro che sottolineare la scelta discutibile di Clint Eastwood, soprattutto in relazione all’anzianità del protagonista.
Il tema principale intorno a cui ruota il film è quello che da qualche decennio ci si è abituati a chiamare “toxic masculinity”, ovvero l’adozione coatta da parte dei maschi di modelli di comportamento che prescindono dalle profonde inclinazioni del singolo ma che costituiscono appunto un obbligo soprattutto in determinati contesti geografici e sociali; di questa “toxic masculinity” il cowboy texano rappresenta, nella società e nel cinema americani, ovviamente un archetipo. Nel corso del tortuoso processo di formazione a cui Mike sottopone Rafa e che il ragazzino, pur fra mille esitazioni, accetta, vi è proprio un momento in cui il vecchio cowboy sembra interrogare la problematicità e la fragilità di questa attribuzione di ruoli.
Ascoltata e vista oggi questa petizione convince certamente ma forse è anche un po’ banale e un po’ tardiva, decretando forse il fatto che questa sceneggiatura è diventata film un po’ fuori tempo massimo.
In sala dal 2 dicembre
Cast & Credits
Cry Macho – Regia: Clint Eastwood; sceneggiatura: Richard Nash, Rick Schenk; fotografia: Ben Davis; montaggio: Joel Cox, David Cox; interpreti: Clint Eastwood (Mike Milo), Eduardo Minett (Rafa Polk), Dwight Yoakam (Howard Polk), Fernanda Urrejola (Leta), Natalia Traven (Marta); produzione: Malpaso Production; distribuzione: Warner Bros; origine: USA 2021; durata: 104′; distribuzione: Warner Bros Italia.

Tutto vero (e interessante conoscere la vicenda del soggetto) però un film di Eastwood anzitutto si confronta con un film di Eastwood, non con Eastwood.
Proprio perché poteva risparmiarselo ha fatto bene a realizzarlo, con lui stesso dentro.
Perché altre tre o quattro cose non spetta a me, forse si potrebbero dire comunque da dire (anche su quello che dice e non dice del suo Paese, da cui infine si esilia volontariamente o quello che dice in ogni film ai cattolici).
E che bello abbia comunque girato la scena in cui doma il cavallo! Anzi, bello che abbia girato tutto il film, così come ha fatto bene Blasetti a girare fra gli altri Quattro passi fra le nuvole.
E che bel film di zio Clint. Vorrei almeno segnalare una scena, quella in cui si inuma nella fotografia. Il cowboy di profilo e cappello è di fronte all’ultimissima striscia di luce vespertina e si corica lentamente sulla coperta, la testa scapigliata per ultima, che affonda nel buio. tze.
Comprenderei due stelle se dovessero esserci in giro film buoni, o nuovi, o giovani. In ogni caso due stelle è veramente incomprensibile, anche dopo aver letto il testo. 2 non lo mettono più nemmeno i professori carogna. Significa rinunciare a cercare.
Grazie comunque (“sciantosa” è perfetto)
Ciao
Perché altre tre o quattro cose non spetta a me, forse si potrebbero dire comunque da dire: vabbè