Das Licht di Tom Tykwer (Festival di Berlino – Berlinale Special) – Film d’apertura

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Ricordate il nome di Tom Tykwer, l’autore di Lola corre (1998), Heaven (2002), o Profumo: storia di un assassino (2006) con cui sembrava essersi inaugurata, ad inizio nuovo millennio, una seconda era di “Nuovo cinema tedesco”, post caduta del Muro, dopo quella antecedente, grandissima, dei vari Fassbinder, Herzog, Wenders, ecc.? Da quasi dieci anni a questa parte, il bravo regista di Wuppertal mancava dal grande schermo e dopo il poco significativo Aspettando il re (2016) si era dedicato con successo come co-creatore alla serie televisiva  Babylon Berlin (2017- 2022), una delle poche, pochissime cose degne di nota prodotte da una cinematografia, negli ultimi anni, data quasi per desaparecida a livello internazionale. Deve essere quindi sembrata un’ottima idea, una cosiddetta ciliegina sulla torta, all’americana Tricia Tuttle, succeduta da questa edizione al nostro Carlo Chatrian al timone della Berlinale, presentare il come back cinematografico di un autore tanto significativo – in più, cosa che non accadeva mi sembra da anni, come film d’apertura del Festival. Purtroppo, pur partendo da questa ottima premessa o promessa, l’idea, vedendo poi il risultato, non ci è sembrata delle migliori, anzi tutto il contrario. Peccato ma andiamo per ordine.

Cosa ci fa una misteriosa donna, affascinante ma anche vagamente inquietante, a fissare una luce intermittente in un appartamento di Berlino come fosse in una sorta di transfert metafisico? Segue subito dopo la presentazione di diversi personaggi, giovani e meno giovani e piano piano, senza fare troppi spoiler, capiremo che appartengono tutti alla stessa famiglia. Ma non di una tranquilla famigliola a caso, bensì, ahinoi, di una classica “famiglia disfunzionale tedesca”, gli Engels –  angeli, senz’altro, ma è pur vero che il più celebre saggio sulla famiglia scritto da un tedesco lo dobbiamo a Friedrich Engels, s’intitola Die heilige Familie (La sacra famiglia),  e risale al 1843– così composta: una coppia, quella di Tim (Lars Eidinger) e sua moglie Milena (Nicolette Krebitz), ovviamente in crisi, con due gemelli, due adolescenti di nome Frieda (Elke Biesendorfer) e Jon (Julius Gause) altrettanto problematici; per di più con loro vive anche il figlio nigeriano di Milena, Dio (Elyas Eldridge), avuto da un’altra relazione della donna. La loro casa sembra un porto di mare, dove tutti, in teoria armati delle migliori intenzioni possibili, di tanto idealismo democratico e terzomondista, vivono gli uni divisi dagli altri. Tutti chiusi nei loro spazi sembrano incrociarsi più per caso che per altri motivi, ognuno con i propri, pesanti problemi relazionali, con tanto di psicoanalista, piccoli drammi adolescenziali, dubbi, incertezze, casini lavorativi di vario tipo e gravità. Si litiga alla grande, dunque, quando non ci si ignora bellamente, mentre a Berlino piove a dirotto come fossimo nella stagione dei monsoni.

La famiglia disfunzionale al completo

Tale infelice convivenza viene sconvolta dall’arrivo di Farrah (Tala Al-Deen, veramente molto brava), una misteriosa governante siriana, che è poi la ragazza dell’inizio del film e di cui scopriamo man mano il destino che l’ha portata all’esilio in Germania. La sua presenza è, insieme, un potente catalizzatore per le difficoltà psicologiche e ideologiche della famiglia Engels ma anche la conseguenza del retaggio di un dramma migratorio ancora maggiore. E poi cosa nasconderà veramente questa donna?

Come avrete intuito da questa sommaria trama Tykwer non ci va leggero con dei temi così importanti come la coscienza individuale di ognuno nei confronti della società, l’alienazione e l’estrema complessità delle dinamiche familiari nelle società affluenti di oggi e last but not least la politica migratoria che presto anche in Germania probabilmente verrà di nuovo messa in discussione con le imminenti elezioni che si terranno proprio il giorno dopo la fine della Berlinale. E abbiamo ricordato il minimo.

Da una parte quindi non si può dire che Das Licht non possegga un alto tasso di attualità, il problema però sorge da come tutto ciò ci venga raccontato, mischiando insieme elementi terribilmente realistici, litigate furiose a momenti onirici o balletti musicali in modo, per noi, assai incongruo. E con un finale poi che ci ha lasciato a dir poco perplessi. Così come l’intenzione di dipingere i dilemmi e le contraddizioni della borghesia democratica tedesca in una sorta di autodafé assolutamente masochista. In esso soprattutto la coppia dei due adulti sembra rappresentare la stupidità assoluta e incontrollata della sinistra tedesca con le sue illusioni e i suoi compromessi – a salvarsi da questo diluvio universale sembrano essere solo i giovani, in particolare l’innocente nigeriano figlio di Milena chiamato, non a caso, Dio.

Scontata la bravura e la recitazione degli interpreti, poco altro ci sembra salvabile in questo “pasticciaccio brutto” di Tykwer girato tra belle location berlinesi e Nairobi (è ormai da anni che il regista tedesco partecipa sul piano produttivo a programmi di sviluppo del cinema africano, in particolare del Kenya) con parecchie lungaggini superflue (162 minuti!!!), dove si ritrova, ma non nel migliore dei modi, la sua consueta capacità nel mescolare narrazione visiva alla profondità emotiva delle situazioni.

Con  Das Licht si è iniziato maluccio, con poca luce, il Festival. Speriamo in meglio, ci vogliamo augurare per il proseguo nei giorni prossimi.


Das Licht (The Light)– Regia sceneggiatura: Tom Tykwer; fotografia: Christian Almesberger; montaggio: Jasper Brandt; musica: Johnny Klimek; interpreti: Lars Eidinger, Nicolette Krebitz, Marius Biegai, Elyas Eldridge, Tala Al-Deen, Elke Biesendorfer, Giulius Gause, Ruby M. Lichtenberg, Anna Shirin Habedank, Alva Schäfer, Gerrit Neuhaus; produzione: Uwe Schott, Tom Tykwer x X Filme Creative Pool; origine: Germania, 2025; durata: 162  minuti.

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