Dopo sei stagioni televisive (andate in onda dal 2010 al 2015) e due trasposizioni cinematografiche (la prima Downton Abbey – Il film nel 2019, seguita da Downton Abbey II – Una nuova era nel 2022) volge al termine l’epopea familiare della famiglia Crawley, giunta, non senza gli immancabili patimenti, sino agli anni ’30 del secolo scorso.
Con la grande Storia a fare da cornice alle loro vicende – si era partiti, durante la prima stagione, con l’affondamento del Titanic – ritroviamo la dinastia dei Crowley, guidata ora da Sir Robert (Hugh Bonneville), alternarsi tra l’annuale fiera della contea, feste danzanti e i più disparati eventi mondani, mentre, attorno a loro in una sorta di assedio, si fanno evidenti gli effetti generati dalla grande depressione del ’29. Dura dunque la vita per gli abitanti di Downton Abbey, così come per le molte famiglie loro pari, notoriamente prive di spirito di adattamento, che rischiano di cadere in disgrazia per via di investimenti sbagliati o perché scopertesi incapaci di far fronte a tasse sul patrimonio sempre più asfissianti. Dilemmi e preoccupazioni che pesano come un macigno, così come gli anni trascorsi impietosi, anche per Lord Grantham, naturalmente, chiamato a trovare una soluzione che consenta a se stesso e ai suoi cari di uscire indenni dalla crisi, mantenendo quanto più possibile intatto il proprio immenso patrimonio. E dire che Lady Mary Talbot (Michelle Dockery) da tempo scalpita per prenderne il posto, sebbene anch’ella abbia la propria dose di grattacapi, fresca com’è di un divorzio che rischia di marginalizzarla agli occhi dell’alta società. Non bastasse questo, di ritorno a Downton Abbey c’è anche lo zio Harold (Paul Giamatti) che consigliato dallo spregiudicato finanziere Gus Sambrook (Alessandro Nivola) ha bruciato buona parte della fortuna di famiglia in operazioni finanziarie quantomeno azzardate. Pur rendendosi conto di non essere più in grado di gestire una mole tanto grande di cambiamenti, Lord Crawley faticherà non poco ad abdicare al proprio ruolo, lasciando in un limbo Lady Mary, accerchiata, quest’ultima, da una stampa famelica di notizie sul suo conto, ma anche da Gus Sambrook che da lei è attratto, non solamente per la propria avvenenza.
È dunque tempo di cambiamenti per Downton Abbey e per i suoi abitanti, non solamente per quelli nobili, ma anche per la numerosa e variopinta servitù che si prepara ad avvicendarsi in alcuni dei suoi ruoli chiave: primi tra tutti, quelli tra il maggiordomo Mr. Carson (Jim Carter) e il giovane Parker (Michael Fox) e tra la cuoca Mrs. Patmore (Lesley Nicol) e l’altrettanto giovane fidanzata di Parker, Daisy Mason (Sophie McShera), mentre su tutti loro sembra aleggiare lo sguardo giudicante della compianta Lady Violet Crowley (la compianta Maggie Smith), il cui grande ritratto è stato posto al centro dell’immensa casa.

Confermato alla regia, Simon Curtis riprende da dove aveva lasciato, dando corpo alla sua opera di minuziosa e attenta ricostruzione storica e ambientale, dello stile di vita sfarzoso di questa peculiare élite durante i primi decenni del secolo breve. Non solo, però, ricostruzioni maniacali con la consueta attenzione prestata agli arredi, alle architetture e ai costumi, ma anche gli immancabili lati oscuri di una classe sociale tanto chiusa quanto elitaria, incapace di adattarsi ai cambiamenti dei costumi, giudicante, patologicamente preoccupata di conservare la propria immagine di rispettabilità.
Spetterà, suo malgrado, a Lady Mary aiutata dall’ex maggiordomo Thomas Barrow (Rob James-Collier) di ritorno dall’America con la star del cinema Guy Dexter (Dominick West), di cui è assistente e compagno di vita, assieme al regista e commediografo Noël Coward (Arty Froushan), drammaturgo e sceneggiatore inglese realmente esistito (di cui, durante la sequenza di apertura si omaggia l’operetta Bitter Sweet , mentre, in chiusura, si accennerà alla successiva Vite Private), tentare di svecchiarne costumi e mentalità, trasformando in glamour ciò che prima sarebbe stato motivo di scandalo. Torna, anche questa volta, dunque, l’accostamento tra le vicende personali della nobile casata, la storia del ‘900 e il cinema.
Una girandola di personaggi (forse sin troppo numerosi, per chi si accosta impreparato alla saga), situazioni e colpi di scena che faranno sicuramente la gioia degli amanti del franchise, ma che non dispiaceranno neanche a chi è a digiuno delle vicende che hanno coinvolto gli abitanti della regale magione dei Crawley. Punto di forza di questa pellicola, come della precedente, infatti, è quello di saper trovare una sintesi convincente tra i toni della soap opera e quelli della commedia, tra leggerezza e dramma, dove ai drammi familiari fanno da contrappunto dialoghi brillanti e intrisi di british humor.
Doveroso, in un finale autocelebrativo, l’omaggio a Maggie Smith il cui ricordo, in un certo senso, pare riassumere lo spirito di una pellicola che ha al proprio centro il tema della nostalgia per il passato (cinematografico, televisivo) e la paura del futuro: “A volte il passato mi sembra un luogo più confortevole del futuro”, esclamerà uno dei protagonisti a un certo punto.
Ci si attende, come nella precedente pellicola del 2022, una caldissima accoglienza al box office.
In sala dall’11 settembre 2025.
Downton Abbey – Il gran finale – Regia: Simon Curtis; Sceneggiatura: Julian Fellowes; fotografia: Ben Smithard; montaggio: Adam Recht; musica: John Lunn; interpreti: Hugh Bonneville, Laura Carmichael, Jim Carter, Michelle Dockery, Elisabeth McGovern, Paul Giamatti, Dominic West, Joely Richardson, Alessandro Nivola, Lesley Nicol, Michael Fox, Arty Froushan, Rob James-Collier; produzione: Carnival Film, Focus Features; origine: Gran Bretagna, 2025; durata: 123 minuti; distribuzione: Universal Pictures.
