-
Voto
Immaginate una favola contemporanea ambientata in una città magica e romantica come Parigi con un’eroina deliziosa, frizzante, sfacciata e vestita di tutto punto con abiti sempre alla moda, coloratissimi ed eccentrici.
Aggiungete un divertente triangolo amoroso, personaggi di contorno esuberanti e magnetici… eliminate dall’equazione tensioni, crisi e soprattutto nevrosi legate alla pandemia.
Mescolate per bene, agitando con classe la miscela e cercando di dosare con equilibrio e grazia gli elementi di questa storia.
Aggiungete un po’ di pepe e una spruzzata di malizia, ed ecco servita a voi la gradevolissima Emily in Paris.
La serie, ideata da Darren Star autore di Sex and the City e produttore di 90210, è indubbiamente scacciapensieri, fresca, vivace, fin troppo leggera. Ma entriamo nel dettaglio: Emily Cooper (Lily Collins) è una giovane Social Media Manager di Chicago e fa parte di una nota azienda pubblicitaria, gestita dal suo capo, Madeline Whelleer (Kate Walsh). All’azienda si presenta l’occasione di gestire il settore marketing della Savoir, storica agenzia francese affiliata alla loro. Poco prima della partenza Madeline scopre di essere incinta e decide di spedire la “nostra” giovane Emily a Parigi per gestire la comunicazione social della “Savoir”.La ragazza, inizialmente indecisa, decide di partire e per la nuova arrivata -che non conosce una parola di francese- la vita, almeno in prima battuta, non sarà facile, soprattutto nel rapporto con i nuovi colleghi.
Gli iniziali e minimi problemi di adattamento alla nuova realtà sono superati grazie al temperamento sbarazzino e ottimista della ragazza, che sembra affrontare la vita con un animo da quindicenne (più che da quasi trentenne).
La prima serie, che ha mostrato sicuramente qualche spunto in più di riflessione rispetto a questa seconda, si focalizzava maggiormente sull’approccio comunicativo (da millennial) di Emily, in contrasto con quello dell’affascinante, misurata e burbera Sylvie (Philippine Leroy-Beaulieu) e dei suoi colleghi, e si concentrava sul lento incontro della gestione comunicativa “vecchio stile” con il ritmo forsennato e vivace della nostra eroina, aggiungendo, tanto per non farci mancare niente, una bel triangolo amoroso con l’aitante chef Gabriel (Lucas Bravo) inquilino del piano di sotto e sentimentalmente legato alla sua amica Camille (Camille Razat) con cui Emily trascorre un’appassionata notte d’amore convinta della sua partenza imminente. E il bel Gabriel – ma guarda tante volte il caso – non partirà, perché il suo ristorante riesce ad ottenere un finanziamento proprio a Parigi.
La seconda serie comincia proprio dal difficile dilemma amoroso della protagonista che, come un’adolescente immatura, evita a tutti i costi di affrontare i sentimenti per Gabriel e di parlarne alla sua amica Camille a lui legata (che poi, scoprirà tutto grazie a una padella rivelatrice😉) e si concentra sulla realizzazione professionale e sulla vita sentimentale della protagonista e dei personaggi di contorno.
Un aspetto di non poco conto viene immediatamente fuori: la Parigi di questa serie è una città da cartolina, di quelle però patinate ed eccessivamente rifinite e sofisticate: non esiste un elemento di contrasto, non una sbavatura di troppo: una città romantica, perfetta e a tratti stucchevole.
Inoltre, il contrasto iniziale e il dualismo della protagonista, nel suo essere, allo stesso tempo, americana e a poco a poco anche francese è accentuato e viene fuori nella prima serie mentre in questa seconda Emily sembra proprio essersi ambientata alla perfezione, nonostante la ancora scarsa conoscenza della lingua.
Un elemento, che invece arricchisce questa seconda serie è l’aspetto multi-linguistico e multiculturale: Emily, costretta a iscriversi ad un corso di francese conosce Alfie (con cui poi intrattiene una breve storiella) un ragazzo londinese, realista, più cinico e sprezzante della visione trasognata della nostra eroina. Il loro incontro e l’aderenza al quotidiano di Alfie (Lucien Laviscount) riesce a rendere la “favola” un tantino più vicina alla realtà e a mostrarci uno scontro/incontro tra mondi differenti.
Parigi, Londra, Chicago, e in piccolissima parte è presente anche Roma in questa serie: Sylvie, una specie di Miranda Priestly in versione parigina, sofisticata quanto basta e distante dall’esuberante energia di Emily, in una riunione affermerà: È strano come una lingua differente possa dare un’impressione diversa di una persona. In italiano ad esempio io sono molto più dolce e meno pungente.
Emily in Paris si apprezza quindi per il carattere poli-linguistico, per i riferimenti a differenti contesti culturali e per l’evoluzione dei personaggi collaterali, come, ad esempio, quello di Mindy (Ashley Park), capace di dilettarci con le sue improbabili disavventure canore e con il suo stile.
Mindy – in un tempo lampo – amica stretta, coinquilina di Emily e aspirante cantante è simpatica, eccentrica e realmente talentuosa.
La ragazza, che in questa seconda serie è forse il personaggio più vicino alla protagonista e del quale abbiamo apprezzato abiti e stile, comincia la sua gavetta artistica letteralmente “dal basso”, come dame pipì ovvero la donna che prende la mancia nei locali fuori dalla toilette. Il suo talento verrà fuori, come anche le sue nobili origini, inizialmente tenute nascoste.
A parte i personaggi secondari, l’ambientazione e la caratterizzazione multiculturale, questa simpatica serie riesce a coinvolgerci per la leggerezza, l’allegria sempre presente e per i colori sfavillanti e accecanti, che rendono la “favola” godibile, molto rilassante e fresca come può essere refrigerante bere in un sorso solo un bel bicchiere di limonata ghiacciata in una torrida giornata estiva.
Mancano tuttavia, spunti di riflessione più profondi, un’evoluzione e una maturazione personale e morale della protagonista che in alcuni momenti, ripetiamo, più che una quasi trentenne, ha la leggerezza e la sfacciataggine di una quindicenne. Buon per lei.
Per quel che ci riguarda sarebbe stato apprezzabile ricevere qualche stimolo di riflessione e più punti di contrasto, sia nel carattere della deliziosa protagonista sia nella magica, perfetta e poco credibile Parigi (che nella realtà è magica per la sua bellezza ma anche per i contrasti che la caratterizzano e che vengono fuori molto poco).
Serie apprezzabile e molto scorrevole, dunque, ma potrebbe osare di più.
Emily in Paris – genere: Commedia ; showrunner: Darren Star stagioni: 2; episodi miniserie: 20; interpreti principali: Lily Collins , Philippine Leroy-Beaulieu, Lucien Laviscount, Ashley Park, Lucas Bravo; Kate Walsh, Camille Razat, Samuel Arnold, Bruno Gouery; produzione: Darren Star Productions, Jax Media, MTV Studios; origine: USA 2021; durata episodi : 25′-35′ minuti; distribuzione: Netflix.
