Della selezione ufficiale e dei premi abbiamo già in precedenza parlato. Ma c’è molto altro da dire sull’Ennesimo, Talk, Workshop, conversazioni, sezioni collaterali, tutto ciò muove ed anima il festival e a cui abbiamo assistito, lo raccontiamo ora.
Abbiamo assistito al talk di Julien Panzarasa, che ci ha parlato di un mestiere affascinante e dai contorni non sempre definiti, come quello del montatore. L’unico, insieme al regista, a passare ore in sala per dare forma a un’opera. È in quella fase che le infinite possibilità del girato vengono ridotte a un’unica strada, scandita da ritmo e scansione. Julien ha spiegato con estrema chiarezza che il montatore si mette al servizio della visione del regista: i più bravi riescono a farlo, i migliori aggiungono qualcosa di sé, in punta di piedi, senza sovrastare o distorcere l’idea originale. Una firma discreta, ma riconoscibile.
Non ci ha svelato qual è la sua cifra personale, ma ci ha detto che è ben riconoscibile, (e io mi sto già rivedendo tutti i film in cui ha lavorato per scovarla). Ci ha poi raccontato come, in alcuni casi, sia proprio una visione fresca a ricomporre il puzzle in modo nuovo; se un’opera non funziona come l’avevamo immaginata, il montaggio può davvero darle nuove fondamenta. Andò così per Napoli – New York di Gabriele Salvatores: la scena finale della partita a carte, inizialmente era prevista a metà film, ma qualcosa non funzionava. Julian a questo punto propose a Salvatores di spostarla alla fine, in questo modo la narrazione, ed il senso del finale, cambiava notevolmente. Anche se inizialmente il regista non era affatto d’accordo, in seguito si ricredette, ed il nuovo editing diventò quello definitivo che noi conosciamo.
Abbiamo poi parlato con Sergio Ballo, costumista per Bellocchio, Riondino, Labate, D’Alatri. Oltre a togliersi qualche sassolino, ci ha raccontato come nasce una suggestione e come si trasforma in un abito. L’intervista completa sarà presto online su Close-Up.
Il cantattore Marco Manca ci ha sorpreso con un workshop sull’interpretazione del personaggio nel canto: voce e movimento che si intrecciano per dare credibilità e respiro drammatico al testo, restando fedeli ma anche reinventandolo.
Ci siamo poi immersi nella realtà virtuale con la selezione di corti in VR di Odissea Virtuale, curata da Elisa Scarpa, che già lo scorso anno ci aveva stupito con interessanti opere, tra cui la straordinaria trilogia di Gina Kim. Stavolta abbiamo visto i lavori sperimentali di Sara Tirelli: opere realizzate con dogmatiche limitazioni, trasformate in risorse per esplorare soluzioni nuove, mentre in Sweet End of the World, di Stefano Conca Bonizzoni distopia e divino si intrecciano in una realtà mitologica, in cui immagini di allevamenti, discariche, plastica si fanno portatori di un peccato originale col quale l’umanità si condanna.
Il corpo – lacerato, assente, dissociato, riflesso – è il filo conduttore che lega tutte le opere. In Soul Paint, di Sarah Ticho & Niki Smit, uno dei due lavori interattivi, il dolore, il rifiuto e l’accettazione del corpo sono il nucleo tematico che l’opera cerca di farci esplorare: veniamo messi di fronte ad un’immagine di noi stessi che, come davanti ad uno specchio, replica i nostri movimenti, l’identificazione però avviene in maniera assolutamente peculiare, quelli non siamo noi, è una massa informe, una strana proiezione. Ci viene poi data la possibilità di dipingere il nostro alter-ego attraverso scie luminose distribuibili in uno spazio tridimensionale all’interno del corpo. Possiamo registrare un messaggio che spiega le nostre scelte, e poi entrare letteralmente in quel corpo, camminare verso di esso ed indossarlo, la sensazione prodotta è molto potente. Le potenzialità di simili esperienze per identità frammentate, dismorfofobia, disturbi psicosomatici, sono straordinarie.
Dalle rassegne Visioni Sarde e Dalla via Emilia al West abbiamo tratto tre corti da segnalare: il primo, Come siamo diventati di Christiano Pahler, realizzato con pochissimi mezzi, si è distinto per freschezza e inventiva; mentre Island for rent, di Elio Turno Arthemalle, Salvatore Cubeddu ci mette di fronte ad un futuro distopico dove i sardi hanno affittato l’isola e sono emigrati in massa, la premessa del corto è estremamente avvincente, (anche se lo sviluppo si fa un poco soporifero) e infine, l’esilarante Hardcore di Francesco Barozzi: una signora, alle prese con due tirapiedi scalcinati incaricati di riscuotere un debito, si ritrova coinvolta in una proposta surreale – girare un video per OnlyFans.
Invitata d’eccezione del festival, c’era ancora una volta Elettra Caporello, la dialoghista per Allen e Scorsese, inesauribile, tagliente, brillante. Se volete saperne di più sulla sua vita e sul mestiere di dialoghista vi invitiamo a recuperare l’intervista dello scorso anno sulla sua carriera e il suo lavoro.
