Una casa nel verde. In una stanza una donna sta cantando davanti a uno schermo che trasmette una base strumentale, in quella accanto un’altra donna sta attaccando qualcosa su una tela poggiata su un tavolo di fronte a lei. Arriva una macchina. Le due donne si ritrovano ad accogliere il visitatore. È Hauki, un amico di famiglia, che ha consuetudine coi luoghi. Chiede che gli sia venduto qualcosa. Tutti e tre si recano nel capanno in giardino. Una delle due donne, la più possente, entra e poi torna fuori con una tanica di plastica piena di qualcosa. Quando l’uomo le dice che pagherà più avanti, adesso non ha soldi, lei lo colpisce con una roncola, così impara.
Prikko e Taina, due sorelle, producono in casa e vendono birra, da generazioni. Il padre è il maestro birraio del paesino di provincia sperduto nella campagna finlandese dove il liquido dorato scorre a fiumi. Nella casa paterna premi su premi troneggiano alle pareti. L’uomo ha il cappello dell’assaggiatore supremo, colui che dà il voto ai prodotti artigianali fatti da tanti in paese.
Le sorelle a furia di assaggiare ciò che producono sono sempre ubriache, sanno gestire il dopo sbornia, hanno riti e modalità navigate. La quotidianità è bere: in compagnia o da soli, al bar o a casa propria, ogni occasione è giusta per cominciare o continuare a bere, pochi non lo fanno, pochissimi.
Lo stesso giorno una seconda macchina giunge in visita al casale delle sorelle. È Païvi, la terza sorella che vive a Helsinki. La prima immagine che vediamo di lei è un dettaglio della sua discesa dalla vettura: ha una protesi a una delle due gambe. È venuta a far conoscere il fidanzato Nestor, artista visivo, col quale convolerà a nozze tra un mese. Sarebbe bello avere cento litri di birra per quella occasione, sono in grado le sorelle di fornirglieli? Ecco innescato il meccanismo su cui si fonda la commedia finnica dai toni scuri 100 Litres of Gold che in Italia uscirà con il titolo: 100 Litri di Birra.
È la storia di tre sorelle, è la storia di un trauma, è la storia di una presa di coscienza in chiave umoristica. Durante l’ora e mezza della pellicola assistiamo a una escalation paradossale di sventure e incidenti, cadute e risalite come in una comica di Chaplin venata di nero. Come in un fumetto le due sorelle vengono colpite ma si rialzano, ridono e ci bevono su, ogni volta non è l’ultima, ogni volta si ricomincia. La minore, Taina, dorme male, ha sensi di colpa, ha un incubo ricorrente (con piccole variazioni sul tema) in cui si trova in una macchia rovesciata e cerca di salvare qualcuno che indossa un paio di scarpe da ginnastica di tela blu: una notte la gamba le rimane in mano, un’altra notte si allunga all’infinito, in una coniugazione angosciosa di un mancato salvataggio.
Per il matrimonio le due producono la miglior birra mai fatta ma tutti la vogliono, loro per prime muoiono dalla curiosità di provarla, fanno festa, la consumano tutta, ne devono trovare dell’altra e così via in una spirale di soluzione e abisso, recupero e caduta. La galleria di personaggi che costellano il mondo delle due donne è variegato nelle declinazioni dell’assurdo: il cugino folle e competitivo che vuole a tutti i costi il contenitore di legno del nonno dentro cui si produce la birra (kuurna), la donna prete che conduce il coro e manda via Prikko troppo ubriaca per cantare (sebbene anche lei si rifornisca a buffo di birra da loro), l’amante respinto ma sempre fedele e remissivo che le scarrozza in giro come uno chauffeur personale. La girandola di accadimenti porta a survoltare la velocità delle gag fino a un finale catartico. Paura dell’acqua, della guida, dell’andare oltre la propria porta: le due sorelle di mezza età hanno speso tutta la vita a perdersi. Solo chi se n’è andato si è salvato da solo e può tornare solo a festeggiare la sua trovata felicità. Chi è rimasto nei dintorni, chi ha scelto di non rischiare, chi ha preso il testimone familiare ripercorrendo la strada iscritta dal padre non ha mai imparato a vivere davvero. Prikko e Taina trovano conforto nello stordimento continuo, non hanno alternative, l’alcol rende loro libere di ridere, di non sentirsi pesanti, di volare, nuotare, guidare e viaggiare pur restando, come preferiscono, immobili dove sono. Ciò nonostante Prikko è amata: da ex fumatrice chiede spesso a Hauki di soffiarle sul viso il fumo della sigaretta, per lui è un gesto altamente erotico tanto che le chiede di immaginare una parola di sicurezza, ha letto su Internet che in relazioni a tale livello di perversione sessuale è necessaria una parola che protegga dal ledere la volontà del partner (pratica attiva nelle relazioni sadomasochistiche) e Prikko, crudelmente, lo vilipende perché ritiene che loro non abbiano una liaison di nessun genere. Propositi giornalieri di smettere di bere si alternano a mettere i voti continuamente a ciò che si assaggia, birra o whisky o altro liquido ad alto tasso alcolico.
La cattiveria dei personaggi è da una parte il disegno beffardo del destino, dall’altra il riflesso di una profonda solitudine diffusa nella popolazione della provincia finlandese. Arte terapia, feste continue, matrimoni, battesimi, funerali, la barchetta sul lago, le spedizioni in macchina sono molti i cambi di scenario raccontati attraverso una fotografia vivida e allucinata, dai colori vibranti di natura, alberi, vegetazione, legno. La recitazione è sopra le righe ma a tono, come la scrittura dei personaggi. Si ride amaramente.
100 Litri di Birra (100 Litres of Gold) – Regia: Teemu Nikki; sceneggiatura: Teemu Nikki; fotografia: Jarmo Kiuru; montaggio: Jussi Sandhu; musica: Marco Biscarini; interpreti: Elina Knihtila, Pirjo Lonka, Ville Tihonen, Pekka Strang, Jari Virman, Hannamaija Nikander, Pihla Penttlinen, Iivo Tuuri; produzione: It’s Alive Films, TBC – The Culture Business; origine: Finlandia/Italia, 2024; durata: 88 minuti; distribuzione: I Wonder Pictures.