C’è una scena, all’inizio di Conclave, piuttosto significativa e che rende bene l’idea di quale sarà l’atmosfera che si respirerà durante tutta la durata del film. All’interno della stanza dove giace la salma del Papa (Bruno Novelli), raccolti attorno al decano Thomas Lawrence (Ralph Fiennes, prova maiuscola la sua) sono riuniti, attoniti, un ristretto circolo di alti prelati chiamati a sancirne la dipartita, prima di rendere pubblica la notizia. Espletate le formalità che culminano nella dichiarazione di seggio vacante pronunciata dal cardinale statunitense Joe Tremblay (John Lithgow), il cardinale camerlengo deve sfilare dal dito del defunto pontefice l’anello piscatorio – prima di distruggerlo solennemente – ma l’anello, forse perché nel frattempo è sopraggiunto il rigor mortis non vuole saperne. Il camerlengo, quindi, in una breve sequenza tra il drammatico e il grottesco, per avere ragione dell’anello è costretto a ingaggiare con esso una vera e propria lotta, che stride con la solennità dell’atto ma che prefigura le difficoltà cui Lawrence sta andando incontro.
Come Lawrence sa perfettamente, infatti, già a partire dalla primissima sequenza, – quando con passo forsennato e nervoso gira per le strade di una Roma notturna approssimandosi al luogo luttuoso – le difficoltà vere arriveranno nei giorni del Conclave, che lui è chiamato a presiedere e guidare in qualità di decano.
Girato tra gli studi di Cinecittà e la Reggia di Caserta, il nuovo film di Edward Berger (Oscar per il Miglior film straniero con Niente di nuovo sul fronte occidentale), tratto dal libro di Robert Harris, è un film che mette in scena, con un rigore formale nella messa in scena che replica e amplifica, la ricchezza e la profondità dei vari atti liturgici, due differenti tipi di dissidi. Il primo è tutto interiore, e ha per protagonisti, oltre al citato decano, quelli dell’amico porporato cardinale Goffredo Bellini (interpretato da uno Stanley Tucci attento e misurato) e del cardinal Vincent Benitez (Carlos Diehz), arcivescovo in pectore di recente nomina proveniente dalla diocesi di Kabul.
L’altro dissidio, invece, di interiore non ha proprio nulla e assume i connotati di una vera e propria lotta senza quartiere su chi debba essere, tra i convenuti, il nome del successore al soglio pontificio. A fronteggiare, dalla parte opposta della barricata, il gruppo di porporati progressisti di cui fanno parte Bellini e Lawrence, c’è infatti un agguerrito gruppo di prelati dalle idee conservatrici di cui fanno parte, tra gli altri, il citato Tremblay, e il cardinale Adeyemi (Lucian Msamati) dato tra i favoriti alla successione.
Nel mezzo il gruppo di suore che, sotto la guida di Suor Agnes (Isabella Rossellini), servono i porporati in ossequioso silenzio, ma che hanno “occhi e orecchie” e avranno un ruolo fondamentale in questa lotta di potere per soli uomini.
Nel suo susseguirsi di scrutini dai tempi contingentati, il conclave riassume, in buona sostanza, cosa sia il Vaticano come istituzione religiosa e politica. Un microcosmo chiuso, come lo sono i cardinali all’interno della Cappella Sistina, eppure osmotico verso il mondo esterno, attraversato da correnti, sospeso tra una tradizione millenaria autoreferenziale e spinte secolari, tra istanze conservatrici e altre progressiste, tra relativismo e fanatismo religioso.
Un anacronismo arrivato sino ai nostri giorni come la lingua latina che l’italianissimo – forse troppo – cardinale Goffredo Tedesco (un Sergio Castellitto davvero in parte ma molto vociante) rimpiange e forse vorrebbe reintrodurre qualora venisse eletto, cancellando in un colpo solo le riforme attuate a partire dal Concilio Vaticano Secondo. Un conflitto ideologico ancor prima che religioso. Una “guerra” intestina alla Chiesa, narrata utilizzando i registri del giallo e del thriller psicologico con il cardinal Lawrence chiamato a dipanare l’intricata matassa di misteri, sospetti e veleni che circondano i suoi esimi colleghi, nonostante i tormenti interiori e i dubbi di fede che lo attanagliano. Trovare una sintesi, tra chi pare animato da aspirazioni legittime e chi invece solo da una cieca ambizione personale, sarà un lavoro per nulla facile.
Come fa notare il cardinale Tedesco in un’altra scena chiave, quella che si ritrova riunita la sera per la cena è, infatti, tutto tranne che una comunità, divisa com’è in una miriade di rappresentanze etniche e linguistiche, ciascuna seduta al proprio tavolo senza alcuna commistione con gli altri.
Un film che, in ultima analisi, portandoci all’interno di luoghi di potere altrimenti inaccessibili, risulta più convincente per il rigore formale della messa in scena, la splendida fotografia di Stéphane Fontaine, e la prova offerta da un cast di prim’ordine per personaggi il cui lato umano è tratteggiato con scrittura minuziosa. A convincere meno, almeno per chi scrive, è un finale forse molto, troppo riconciliante.
In sala dal 19 dicembre 2024.
Conclave – Regia: Edward Berger; sceneggiatura: Peter Straughan (da un romanzo di Robert Harris); fotografia: Stéphane Fontaine; montaggio: Nick Emerson; musica: Volker Bertelmann; interpreti: Ralph Fiennes, Stanley Tucci, John Lithgow, Sergio Castellitto, Lucian Msamati, Carlos Diehz, Isabella Rossellini, Bruno Novelli, Jacek Koman, Thomas Loibl, Rony Kramer; produzione: Alice Dawson, Robert Harris, Juliette Howell, Michael Jackman, Tessa Ross; origine: Regno Unito, USA, Italia, 2024; durata: 120 minuti; distribuzione: Eagle Pictures.