Il treno dei bambini di Cristina Comencini

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Uno dei film italiani più amati dell’ultima Mostra del cinema di Venezia, Il tempo che ci vuole di Francesca Comencini, ha riportato sotto le luci della ribalta mediatica la memoria di uno dei migliori cineasti del cinema italiano, suo padre Luigi; che venne ribattezzato, pour cause, “il regista dei bambini”. Sin dal suo film d’esordio, infatti, Proibito rubare, fino all’ultimo, Marcellino pane e vino, passando ovviamente per altri titoli cruciali come Incompreso o naturalmente lo sceneggiato Le avventure di Pinocchio, il regista nato a Salò dimostrò una spiccata predilezione per i protagonisti infantili, ciò che gli permise pure di allevare le sue quattro figlie con l’amorevole premura che il film proiettato in Laguna ci aveva così acutamente raccontato. Prodotta dalla Palomar di Carlo Degli Esposti e da Netflix, arriva ora, dopo la Prima alla scorsa Festa di Roma, in piattaforma l’ultima fatica dell’altra figlia-regista di Luigi Comencini, Cristina, Il treno dei bambini, tratto dal romanzo omonimo di Viola Ardone: una storia che suo papà avrebbe amato – per lo meno così ci piace pensare – narrando di quella vicenda epica e struggente accaduta per davvero nell’Italia lacera e devastata del dopoguerra, quando decine di migliaia di bambini poverissimi di Napoli e di altre città del centro sud furono ospitate, e in certi casi adottate, da alcune famiglie contadine dell’Emilia Romagna. Una storia vera, testimoniata dalle meravigliose fotografie in bianco e nero che scorrono sui titoli di coda, che la regista de La bestia nel cuore trasforma in cinema accorato e sentito, accordandosi a un vecchio slogan ancora attuale, che segna da tempo la sua poetica: “il personale è politico”. La fabula narra la storia di Amerigo, oggi violinista affermato col volto affranto di Stefano Accorsi, che nella Napoli del dopoguerra è costretto a partire alla volta di Modena per sottrarsi ai morsi della fame e alla miseria più nera. È sua mamma, interpretata da una sempre aderente Serena Rossi, a lasciarlo andare per troppo amore; ben capendo che la sua sorte sarebbe stata meno grama lontana da lei. Lo crescerà una “mamma del nord”, Barbara Ronchi, sindacalista comunista, che lo accoglierà in una famiglia allargata che nutrirà la sua fame di cibo e di arte. Edificato in un impianto estetico convenzionale e apparentemente televisivo (la destinazione distributiva vorrà pur dire qualcosa), il film di Cristina riscatta tuttavia, dopo pochi minuti, questo potenziale handicap, grazie a una storia di inusitata potenza, raccontato con la più gagliarda delle drammaturgie affidata non per nulla ai migliori sceneggiatori sul mercato (a modestissimo avviso di chi scrive, ça va sans dire): Furio Andreotti e Giulia Calenda; coadiuvati dalla regista e da Camille Dugay. E qui è d’uopo aprire una lunga parentesi biografica che, nelle intenzioni di chi scrive, non ha alcun intento frivolo, ma servirebbe piuttosto a fornire all’eventuale lettore un quadro non irrilevante del reticolo familiare di quella che, a questo punto, possiamo definire come una dinastia cinematografica difronte alla quale inchinarsi. Insomma, se Cristina è la figlia di Luigi e la sorella di Francesca (ma anche della scenografa Paola e della direttrice di produzione Eleonora), ella è a sua volta madre del noto uomo politico Carlo, ma anche della summenzionata Giulia e, dunque, di questa Camille Dugay, trentaduenne attrice francese avuta dal produttore Philippe. Sperando di non aver confuso le vostre idee, anziché schiarirle, si passa senz’altro indugio a promuovere il film in oggetto a pieni voti, riuscendo esso a far risuonare queste cronache veristiche dei nostri antenati di echi persino commoventi, grazie alla bravura degli interpreti e degli autori dello script (e probabilmente anche grazie al best-seller di partenza, che tuttavia non abbiamo avuto ancora il piacere di leggere). Talché si avrebbe quasi voglia di replicare idealmente al collega, al critico cinematografico Alberto Crespi il quale, alla viglia della Festa di Roma, si diceva timoroso che quest’anno non ci sarebbe stato un fenomeno come quello di C’è ancora domani. Si riferiva, naturalmente, al clamoroso exploit commerciale di un film che con i suoi quasi 37 milioni di incasso solo in Italia ha fatto bingo. Bene, il raffronto merceologico sarà impossibile a farsi, uscendo Il treno dei bambini su piattaforma, ma quello spettacolare e stilistico sì: correndo il rischio di offendere la sensibilità di qualcuno, secondo noi (per temi, periodo storico e per cifra stilistica) il film di Cristina Comencini non è meno bello di quello di Paola Cortellesi. E questo è quanto, a nostro parere ovviamente. In Anteprima alla Festa di Roma 2024 (Sezione “Grand Public”) Su Netflix dal 4 dicembre 2024.
Il treno dei bambiniRegia: Cristina Comencini; soggetto e sceneggiatura: Furio Andreotti, Giulia Calenda, Cristina Comencini, Camille Dugay; fotografia: Italo Petriccione; montaggio: Esmeralda Calabria; scenografia: Maurizio Leonardi; costumi: Chiara Ferrantini; musiche: Nicola Piovani; interpreti: Barbara Ronchi, Serena Rossi, Christian Cervone, Francesco Di Leva, Antonia Truppo, Monica Nappo e con la partecipazione di Stefano Accorsi; produzione: Palomar; origine: Italia, 2024; durata: 104 minuti; distribuzione: Netflix.

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