Una certa (nuova) tendenza del cinema italiano? Forse no ed è probabilmente prematuro parlarne o evidenziarla, ma, da qualche tempo a queste parte, mi sembra di notare, pur con la mia ormai cortissima memoria, che si stiano moltiplicando dei film dove sono narrati dei giovanissimi e i loro non semplici destini, oggi nella nostra società solcata da tanti, troppi e diversi problemi (anche se, poi, non sono mai affrontati direttamente e di petto). Qualcuno mi obbietterà: ma di che razza di novità parli? Risposta mia: se è vero che sia sempre esistita una tendenza del genere, ritengo, però, – mi sbaglierò forse – di scorgerci dentro una sensibilità condivisa, insieme ad un tocco abbastanza diverso anche dal recente passato. Perché?
Alcuni aspetti, infatti, mi sembrano comuni: i soggetti interessati sono sempre degli adolescenti della classe borghese e quindi non appartenenti, diciamo così, alla tradizione realistica degli outsider di stampo pasoliniano; il tono scelto non è necessariamente il registro tragico, anche se i problemi in sottofondo sono molto gravi, non da prendere sottogamba ma sempre narrati a partire da contesti esplicitamente personali; lo sguardo è, il più delle volte, declinato al femminile; il basso di fondo resta quello dell’osservazione velata e di un certa sofferta, anche se dolente, accettazione di un destino incombente. Nessun capolavoro, per carità, all’orizzonte ma, in generale, delle opere cinematografiche oneste, per niente disprezzabili, che si industriano di raccontare uno spaccato psicologico della gioventù italiana di oggi – il che non è poco né inutile, a mio modesto avviso.
Così mi pare di poter osservare che le irrequietezze drammatiche delle due ragazze di Quell’estate con Irène di Carlo Sironi abbiano molti tratti in comune con quelle delle loro coetanee ne L’albero di Sara Petraglia; e che questo disagio femminile si ritrova anche nelle difficoltà a cercarsi un posticino nel mondo da parte del protagonista, un maschietto, in Diciannove diretto da Giovanni Tortorici – film forse passato, ingiustamente, un po’ in sordina alla scorsa Mostra di Venezia (era in “Orizzonti”) e su cui vorremmo tornare alla sua uscita.
Dopo questa premessa, forse pleonastica ma forse no, veniamo a parlare finalmente dell’opera prima (come quella di Tortorici) di Petraglia junior, figlia d’arte del noto sceneggiatore Sandro P.
A ventitré anni Bianca (Tecla Insolia) ha lasciato la casa dei suoi, per andare a vivere con l’amica Angelica (Carlotta Gamba) in un bel appartamento nei dintorni del Pigneto, nelle immediate vicinanze del Mandrione a Roma, da cui si può vedere in lontananza un grande, imponente pino. La ragazza dovrebbe frequentare l’università, ma se guarda bene, il tempo lo trascorre con l’amica con cui intesse una relazione più che affettuosa ma forse non del tutto ricambiata perché poi Angelica la lascerà per trasferirsi a Milano. Bianca legge molto, soprattutto Leopardi e scrive diversi appunti sul proprio quadernetto per dei possibili libri in fieri ma purtroppo ha un vulnus da cui non riesce ad uscire e che la rende molto debole e indifesa, quello di drogarsi continuamente di cocaina (insieme all’amica ovviamente). Tutto per lei si consuma in breve e in fretta: dall’amore (provvisorio anzi che no), all’ansia del tempo da cui sembra ossessionata, alla propria vita che le scorre via come fosse un attimo fuggente.
Nel mentre seguiamo, tra l’altro, le due amiche nelle loro scorribande notturne nei locali della Capitale oltre ad un viaggio un po’ includente a Napoli e dintorni. Tuttavia, a parte l’amore con Angelica che scema via via sino all’abbandono, in primo piano balza sempre più il problema della tossicodipendenza di Bianca e di come uscirne fuori – sia dal punto di vista finanziario sia da quello terapeutico. Situazione che la obbligherà a compiere delle scelte più o meno convinte e radicali. A ciò si aggiunge, ancora, la condizione di un’altra amica con una questione di salute veramente difficile da risolvere…
Senza volere, però, continuare ad entrare nei dettagli della trama che qui abbiamo mal riassunto, il film di Sara Petraglia ci convince perché, nel raccontare un interessante, intenso spaccato generazionale, usa una regia dallo stile semplice ed immediato (ma non semplicistico), dei dialoghi funzionali ed essenziali, una interpretazione maiuscola delle due protagoniste che ci aiutano ad avvicinarsi alla concezione del mondo e alle vicende dei personaggi narrati. Che poi siano delle figure labili, immature o, peggio, randagie, nulla toglie al valore de L’albero come tentativo di testimoniare il mondo (o meglio, una fettina del mondo) dei ventenni di oggi. Con tutte le loro irrequietezze, problemi, disagi e delle speranze, anche se esili e poche, diciamo la verità. Ma almeno questo film ci aiuta, così mi è sembrato, a comprenderli se non del tutto un poco, un tantino meglio.
P.S.: Il titolo rimanda immediatamente ad una metafora, l’unica, credo, di tutto il film della Petraglia, che non vorremmo qui cercare di spiegare o interpretare, ma ci piacerebbe che fosse lo spettatore a darsi, se vuole, lui stesso una propria risposta.
L’albero – Regia e sceneggiatura: Sara Petraglia; fotografia: Sabrina Varani; montaggio: Desideria Rayner; musica: Francesco Rita; interpreti: Tecla Insolia (Bianca), Carlotta Gamba (Angelica), Cristina Pellegrino (Dottoressa buzzi), Carlo Geltrude (Peppe), Yamina Brirmi (Nina), Stella Franco (Gaia), Beatrice Modica (Alice), Manuel Spadea (Lucrezio), Isabella Mottinelli (Celeste), Alice Benvenuti (Nora), Tommaso Rita (Tommaso); produzione: BiBi Film; origine: Italia, 2024; durata: 92 minuti; Distribuzione: Fandango.