Festa del Cinema di Roma: Pierce di Nelicia Low (Freestyle)

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Presentato nella sezione Freestyle, Pierce è l’opera prima di Nelicia Low, ex schermitrice della nazionale singaporiana che, chiusa la sua carriera da atleta, ha studiato da regista presso la Columbia University. Il titolo internazionale del film, Pierce (forare), risulta in qualche modo fuorviante poiché fa riferimento solamente all’atto conclusivo dello sport della scherma, sul cui mondo e incentrata la vita dei protagonisti, mentre il gioco psicologico e strategico che a esso prelude – fatto di finte, arretramenti, parate e infine affondi – va perduto. Sono proprio le intenzioni profonde, celate o dissimulate, invece, a essere centrali in questo sport e nell’economia della pellicola stessa.
Zijie (Liu Hsiu-Fu) è un ragazzo dal carattere introverso, vive a Taipei con la madre (Ning Ding), cantante di Night Club, e ha una passione ostinata per la sciabola, sport che pratica con grande dedizione ma con risultati sportivi scarsi. Il padre è da tempo morto di cancro, mentre la madre ha cominciato a frequentare un altro uomo da cui è amata sinceramente e che intende sposarla.
Zije ha anche un fratello maggiore, Zihan (Tsao Yu-Ning), che sta scontando una pena detentiva di sette anni per aver colpito a morte con una sciabola spezzata un avversario, durante una competizione sportiva. Sull’accidentalità dell’accaduto, oltre ai giudici, nemmeno la madre ha mai creduto, imputando al figlio la volontarietà dell’atto omicida, poiché convinta che questi possieda un animo profondamente malvagio. Solamente il protagonista continua a credere al contrario, ancora profondamente legato al fratello maggiore e ai ricordi di un’infanzia idealizzata che i due hanno vissuto assieme.

Scontata la sua condanna in prigione, per Zihen è finalmente giunto il momento di tornare alla sua vita, ma dovrà farlo lontano dalla famiglia, poiché grava su di lui l’irremovibile decisione della madre di non riammetterlo in casa e, ancor peggio, di frequentare il fratello minore. I due, tuttavia, riusciranno in ogni caso a ricongiungersi, Zije potrà quindi riabbracciare Zihan e beneficiare dei suoi consigli in ambito affettivo e sportivo, giungendo a essere selezionato per la gara più importante della sua vita. Ma il ricordo idilliaco che Zije ha del fratello, col trascorrere del tempo, comincerà a mostrare crepe sempre più grandi.
Già dalla sequenza di apertura del film, in cui il fratello minore è tratto in salvo dal maggiore mentre sta per annegare sotto gli occhi disperati della madre, viene esplicitato il nodo focale su cui la pellicola verte: l’inconoscibilità dell’animo umano, delle intenzioni dietro le azioni, in un evidente rimando all’arte della sciabola, dove a vincere non è necessariamente l’atleta maggiormente dotato a livello fisico.
Nel continuo gioco di avanzamenti e arretramenti degli atleti sulla pedana – accompagnati dai numerosi carrelli laterali eseguiti dalla mdp – quel che conta è intuire le intenzioni dell’avversario, anticiparle, provocandole se occorre. Dissimulare e manipolare l’avversario diviene, quindi, una parte fondamentale della competizione sportiva.
In quest’arte Zihen è evidentemente molto dotato e decide di metterla a disposizione del fratello Ziji che pare imparare molto in fretta, riuscendo, ben presto, a migliorare le sue prestazioni sportive e a guadagnarsi un posto in squadra.
Da un punto di vista extra-sportivo, Ziji  continua invece a rimanere chiuso in una sorta di crisalide, tipica di una fase evolutiva ancora in corso, che tiene lontani gli altri dalla propria vita interiore, in una sorta di dramma dell’incomunicabilità che si fa tanto più grande quanto questo ha più a che fare con i sentimenti di accettazione di se stesso e dell’altro. E certo non aiuta l’esasperato contesto agonistico delle gare, dove i giovani atleti sono ripresi, come se si trattasse di allevamenti in batteria, schierati sulle pedane ciascuno contro il proprio avversario, i volti celati dietro una maschera.
Ma anche nelle situazioni più intime, le difficoltà del ragazzo vengono messe inesorabilmente in evidenza. Ziji viene, infatti, sovente inquadrato di spalle nei momenti in cui è chiamato ad aprirsi all’altro, spesso separato da elementi architettonici o scenografici che lo tagliano fuori, incorniciandolo in uno spazio altro.
In particolar modo sembra incapace di penetrare il mistero costituito dal fratello, cui sono riservate, nelle fasi iniziali del ricongiungimento, inquadrature in soggettiva spesso fuori fuoco. Possibile che la madre, bella quanto fragile, non sbagli nel suo giudizio lapidario nei confronti del figlio maggiore? È Ziji a subire il fascino manipolatorio di Zihan, in un rapporto di evidente sudditanza psicologica, oppure si tratta della mancata accettazione del genitore, dettata dal pregiudizio?

Le risposte non tarderanno ad arrivare, in un finale che non lascerà troppe domande inevase. Un finale che, forse, proprio per questo motivo, rappresenta la parte più debole di un’opera prima nel complesso convincente, apprezzabile anche per la ricercatezza di alcune delle soluzioni visive adottate dalla giovane regista.


Pierce – Regia e sceneggiatura: Nelicia Low; fotografia: Michal Dymek; montaggio: Nelicia Low, Eric Mendelsohn, John F. Lyons; scenografia: Marcus Cheng, Hsu Kuei-Ting; musica: Piotr Kurek; interpreti: Liu Hsiu-Fu, Tsao Yu-Ning, Ding Ning; produzione: Potocol, Flash Forward Entertainment, Harine Films, Elysiüm Ciné; origine: Singapore/ Taiwan/ Polonia, 2024; durata: 105 minuti.

 

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