Palazzina LAF di Michele Riondino

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La storia del cinema italiano è piena di film di alto spessore civico, un tempo si sarebbero chiamati film di denuncia (film di Damiano Damiani, Francesco Maselli, Nanni Loy, Carlo Lizzani o Giuliano Montaldo), che magari non sono dei capolavori ma che sono importanti anzi necessari perché hanno saputo (ri)-attivare nella memoria collettiva vicende colpevolmente rimosse o poco note. È in questa categoria che rientra a pieno titolo il film di esordio dell’attore tarantino Michele Riondino, intitolato Palazzina LAF, presentato il mese scorso in anteprima alla Festa del Cinema di Roma e ora in sala.

LAF è un acronimo che significa “Laminatoio a Freddo”. Nella Palazzina LAF venivano confinati all’Ilva di Taranto –  nella fase della ristrutturazione, o come venne detto a suo tempo, di “novazione” ovvero quella coincidente con il passaggio dell’Ilva da azienda di Stato ad azienda del gruppo Riva – gli impiegati di concetto in possesso di alta qualifica che non accettavano il demansionamento previsto dalla dirigenza che avrebbe  significato per loro subire il passaggio da un lavoro impiegatizio anche di grande livello (informatici, ingegneri etc.) a un lavoro come operaio. Questo trattamento ignominioso e disumano – per il quale la parola mobbing all’epoca (siamo nella seconda metà degli anni ’90 del Novecento) non ancora in uso, sembra addirittura limitante ed eufemistica – pervenne seppur con colpevole ritardo all’attenzione della Procura, ciò che diede vita a un processo in cui i Riva vennero condannati in tutti i gradi di giudizio. Fin qui, ridotti all’osso, i fatti su cui si basa il film di Michele Riondino che dunque ci viene all’esordio a raccontare un episodio di inaudita gravità che riguarda da vicino la sua città, dedicando il film a un altro illustre tarantino, ovvero Alessandro Leogrande, prematuramente scomparso a soli 40 anni nel 2017.

È probabile che il materiale anche e soprattutto video di cui il regista ha (avrebbe) potuto disporre fosse nell’insieme troppo scarso per girare direttamente un documentario, cui questa vicenda si sarebbe senza dubbio prestata. Ed è (forse) anche per questo che la scelta di Riondino è caduta su un film di finzione che vede il regista stesso protagonista nel ruolo di un operaio, decisamente senz’arte né parte, che più per caso che per altre ragioni si ritrova ad entrare nel mirino di un tirapiedi, sordido che più sordido, non si può dell’azienda che risponde al nome di dott. Giancarlo Basile – interpretato magistralmente, come sempre del resto, da Elio Germano, ad avviso di chi scrive, il migliore attore italiano. Il quale Basile lo ingaggia per sostanzialmente controllare e spiare i reclusi della Palazzina LAF, al fine di capire che cosa stia bollendo in pentola, se questa reclusione li stia ammorbidendo, se la loro protesta rischia di coagularsi in un’azione giuridica, ecc.

Vedendo il film lo spettatore è costantemente posto di fronte alla questione che riguarda le potenzialità evolutive di Caterino La Manna, così si chiama il personaggio interpretato da Riondino: arriverà insomma Caterino a rendersi conto dell’universo disumano e distopico in cui è precipitato, saprà sfruttare l’occasione di crescita morale e civica che in fondo gli è stata data oppure resterà quell’imbecille che è sempre stato? Non rivelerò quale sua stata la scelta del regista. Ciò che tuttavia va detto è che questo è l’unico autentico potenziale drammaturgico del film (ché per il resto gli altri personaggi sono rappresentati in modo decisamente univoco: le vittime e i carnefici, i buoni e i cattivi) e che su questo, appunto unico, snodo drammaturgico il film si sofferma un po’ troppo, ingenerando qua e là una certa noia alla quale poco aggiunge la vicenda privata di Caterino, la sua relazione con la fidanzata e tutto il resto. In altre parole la scelta di non girare un documentario ma un film di finzione non è, a mio avviso, supportata da una sceneggiatura adeguatamente solida.  Peccato, perché, invece sul piano della regia piuttosto varia, della recitazione, della fotografia (molto anni ’90, colori giallo-marroncini-grigiastri), dei costumi, della scenografia (molto è stato girato a Piombino), della musica (Teho Teardo) il film funziona, tutto sommato, piuttosto bene.

In anteprima alla Festa di Roma (sezione Grand Public)
in sala dal 30 novembre 2023


Palazzina LAF – regia: Michele Riondino; sceneggiatura: Michele Riondino, Maurizio Bracci; fotografia: Claudio Colafrancesco; montaggio: Julien Panzarasa; musica: Teho Teardo; interpreti: Michele Riondino, Elio Germano, Paolo Pierobon, Vanessa Scalera; produzione: Palomar Bravo, BIM Distribuzione, RAI Cinema, Paprika films; origine: Italia 2023; durata: 99′; distribuzione: Bim.

 

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