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Voto
“Dal letame nascono i fior”, è questo l’ultimo verso di Via del Campo di Fabrizio De André, ed è con questo verso, a suo modo, programmatico che si conclude il convincente La dance des renards, secondo lungometraggio di Valéry Carnoy.
Il film è ambientato in un collegio sportivo, specializzato in boxe e in arti marziali. Difficile che in un film ambientato nel mondo della boxe non ci sia violenza, una violenza, in questo caso, tanto maggiore in quanto il film racconta la competizione sfrenata fra un gruppo di adolescenti, all’interno della quale non si risparmia nulla, ma proprio nulla in termini di violenza implicita o esplicita.
Il protagonista si chiama Camille (ed è interpretato da Samuel Kircher, figlio d’arte, che aveva esordito con successo in Ancora un’estate di Catherine Breillat) ed è di tutti i personaggi di gran lunga il più interessante perché, pur disponendo della più grande dose di talento rispetto ai suoi compagni, è una persona complessa, piena di dubbi sul proprio destino, dubbi che crescono all’indomani di un incidente pericoloso che il ragazzo ha subito e che lo induce a un ripensamento complessivo sulle priorità della vita. Camille è sempre stato (o comunque adesso è certamente diventato) una persona molto fragile che finisce per somatizzare le proprie fragilità, anche in rapporto alle relazioni più intense che ha stretto, quella con l’amico Matteo, un ragazzo di origine italiana (da cui deriva la citazione di André, non so però se abbiano pagato i diritti…) e quella con una ragazza, Yasmina, specializzata in taekwondo e che, curiosamente, suona la tromba alla quale lo lega una vicinanza prima ancora di sentimenti e di somiglianze che di stampo squisitamente erotico e sessuale. I due, entrambi strani a modo loro, si ritrovano nel bosco adiacente al collegio, isolandosi dal mondo: lei, come detto, a suonare la tromba e lui, di qui il titolo, a dedicarsi a uno stravagante passatempo, ovvero a piazzare sui rami degli alberi pezzi di carne cruda che attirano le volpi, presenti in quantità nella foresta. Perché Camille sia attratto fino al paradosso da questo hobby non è dato saperlo, anche in considerazione del fatto che una volta avvistate le volpi, si limita a guardarle, ossia non ha intenzione di cacciarle o simili. Viene da pensare, faute de mieux, che il regista abbia inteso dar vita a una costruzione allegorica, che Camille in quegli animali si riconosca come individuo, al pari delle volpi, sospeso fra selvaticità e addomesticamento. Lo lascia pensare anche la danza, di cui al titolo. Difficile pensare che le volpi danzino, e anche nel film non lo fanno affatto; chi danza, invece, sono i pugili, ballonzolando nel ring, in attesa di sferrare i colpi oppure di riceverli. E di colpi nel film se ne vedono diversi, non solo durante i combattimenti ma, in misura maggiore, fra i convittori pieni di testosterone che solamente picchiando si sfogano della totale assenza di relazioni intime con ragazze. Il tutto raccontato con una regia nervosissima (tanta steady cam, ovviamente il ring si presta, ma non solo le scene sul ring sono girate così) che, visto che siamo in Belgio, non può non ricordare i Dardenne.
Fra i numerosi conflitti che vedono al centro Camille: il più significativo è e resta, lo ribadisco, quello con Matteo, a cui lo lega una vicinanza, a tratti tossica, oltreché non priva di ambiguità e ricca di momenti drammatici. Ma, come racconta De André glossando il sorriso di Camille, ovvero lo happy end, con cui il film si conclude, dal letame nascono i fior. Finale aperto, ma non privo di speranza, come si conviene a un Coming of age.
La dance des renards; regia, sceneggiatura: Valéry Carnoy; fotografia: Arnaud Guez; montaggio: Suzana Pedro; interpreti: Samuel Kicher (Camille), Faycal Anaflous (Matteo), Jef Jacobs (LPF), Anna Heckel (Jas), Jean-Baptiste Durand (Bogdan); produzione: Hélicotronic, Les Films du Poisson; origine: Belgio/Francia, 2025; durata: 93 minuti.
