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Voto
Parliamo subito chiaro: se in Italia ci fosse spazio per dei film tedeschi ambientati nella contemporaneità e non soltanto nel passato, un distributore dovrebbe precipitarsi ad acquistare i diritti per diffondere nel nostro paese Vena l’opera prima di Chiara Fleischhacker, la trentaduenne regista che con questo film ha concluso il suo percorso formativo presso la Filmakademie del Baden-Württenberg, con sede a Ludwigsburg, nei pressi di Stoccarda, da sempre una delle migliori scuole di cinema della Germania.
Proviamo a spiegare perché ci lasciamo andare a un elogio così sperticato di questo film.
Si tratta innanzitutto di un film ben girato, con uso estremamente simbolico della camera a mano, con una scelta mirata delle inquadrature che ora includono ed ora escludono i vari personaggi, con un uso espressivo del fuoco, del sonoro a tratti soggettivo, cioè dettato da ciò che la protagonista vuole sentire o non sentire, nonché con un uso convincente della musica, ora diegetica, ora extradiegetica,.
In secondo luogo si tratta di un film scritto molto bene, tramite un uso parsimonioso e mirato dei dialoghi, in cui non c’è mai una parola di troppo e in cui, spesso, contano più gli sguardi (e i movimenti della macchina da presa) che le parole dette. Ma il valore aggiunto della sceneggiatura consiste nella plausibile e giustificata capacità della regista nonché autrice della sceneggiatura di guidare la ricezione degli spettatori durante lo svolgimento del film stesso. Se nella prima parte lo spettatore fa fatica a empatizzare con la protagonista Jenny (l’eccellente Emma Drogunova, detta Emma Nova), immaginando di trovarsi di fronte all’ennesimo film su una persona tossicodipendente e anche un po’ superficialotta, a cui interessano solo tatuaggi ed eccentriche manicure, oltreché, appunto metanfetamine, nella seconda parte la regista riesce a costruire un personaggio, che certe potenzialità a ben guardare le aveva fin dall’inizio, assai più complesso e a tratti davvero straziante che non può non suscitare il massimo grado di empatia, senza mai scadere nel patetico e nel lagnoso.
La protagonista, Jenny appunto, ha una vita disastrata alle spalle: come dice a più riprese, in passato ha combinato diversi casini e deve (finire di) scontare una pena detentiva. Ha già un figlio che sta crescendo con la nonna e a cui, fra mille problemi, riesce ad esprimere un vicinanza e affetto (bellissima la scena in cui lo accompagna a comprare dolciumi per riempire la “Schultüte”, il cartoccio che addolcisce ai bambini tedeschi il primo giorno di scuola elementare). Dopodiché resta nuovamente incinta, stavolta di un compagno, che non si può neanche definire una cattiva persona, si chiama Bolle (Paul Wollin) e svolge impieghi non continui. Peccato che Bolle sia tossicodipendente quanto lo è Jenny, anzi di più, talché la convivenza, pur in presenza di una gravidanza avanzata, si rivela tremendamente controproducente. Jenny è costantemente in contatto con i servizi sociali che da un lato cercano di aiutarla, dall’altro non paiono particolarmente fiduciosi sul fatto che la donna possa uscire dallo stato di dipendenza in cui versa.
Decisivo è l’arrivo di Marla (Friederike Becht), un’ostetrica che, fra mille riserve dei beneficiari, da un certo punto in avanti comincia a seguire la gravidanza, e che si rivelerà fondamentale per attivare in Jenny le energie necessarie a superare la situazione di prostrazione, dipendenza e (apparente) superficialità nella quale ha fin qui vissuto. Come in tutte le storie di formazione che si rispettano, Marla assolve dunque a una funzione di mentore, anche mettendo in gioco sé stessa e i danni del proprio passato (anche lei ha sofferto di dipendenze, seppur di altra natura, peraltro le stesse della regista: anoressia, bulimia, ossessione per l’attività fisica, Fleischhacker prima di diventare regista era una promettente mezzofondista). E come in tutte le storie di formazione che si rispettano, c’è un elemento ostativo, anzi ci sono più elementi ostativi: il primo è il compagno Bolle che non aiuta affatto Jenny a uscire dal tunnel, il secondo sono le istituzioni che, nella loro assoluta disumanità, assumono delle decisioni che non riveleremo ma che fanno rabbrividire al solo pensarci. Quel che riveleremo è invece la ragione del titolo che apprendiamo solo nell’ultimo terzo del film: il riferimento è alla vena umbelicalis, tramite cui la madre fa pervenire al feto, nutrimento ma anche veleni.

Tutta la parte finale del film, peraltro in parte simile a un period film tedesco appena uscito in Italia, ovvero Berlino, estate ’42 di Andreas Dresen, è ad un tempo di un realismo agghiacciante (la scena del parto è bellissima) e di impennate simboliche, come quando vediamo un uccello librarsi in volo nel cielo o come nell’inquadratura finale, paradossalmente speranzosa, con la protagonista che fissa un caleidoscopio con la sua luce cangiante, regalatole dall’ostetrica.
Ribadiamo l’auspicio che il film, presentato in vari festival, fra cui Torino (dove ha ricevuto il premio della Giuria, sponsorizzato da I Wonder) e adesso al Festival del Cinema Tedesco di Roma, riesca a trovare la strada per essere distribuito nelle sale italiane.
Sei anni fa, a Berlino, venne presentato un film altrettanto forte, altrettanto talentuoso, altrettanto frutto di ricerche sul campo (Fleischhacker si era occupata di detenute anche nei cortometraggi che hanno preceduto questo film di esordio), di un’altra esordiente, ovvero Nora Fingscheidt, si chiamava Systemsprenger, titolo internazionale System Crasher. A parte in qualche festival, quel film non è mai arrivato in Italia. Speriamo che stavolta le cose vadano diversamente.
È notizia recentissima, peraltro, che il film è nella shortlist del Deutscher Filmpreis (i David di Donatello tedeschi): nella categoria “Miglior Film”, “Migliore Attrice Protagonista”, “Miglior Fotografia”. Non male per un film d’esordio.
Presentato in Concorso al Festival di Torino 2024 (Premio della Giuria)
Vena – Regia e sceneggiatura: Chiara Fleischhacker; fotografia: Lisa Jilg; montaggio: Tobias Wieduwilt; interpreti: Emma Nova (Jenny), Paul Wollin (Wolle), Friederike Becht (Marla); produzione: Neue Bioskop-Film, Filmakademie Baden-Württenberg, SWR; origine: Germania 2024; durata: 116 minuti.
