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Voto
Nel 2002, un anno dopo la nomina a direttore della Berlinale, Dieter Kosslick concepì una sezione che intitolò “Perspektive deutsches Kino” (“Prospettiva del cinema tedesco”). La sezione è rimasta in vita fino all’anno scorso, quindi ventidue anni in tutto. Da quest’anno è stata cancellata. Aperta ai documentari e anche ai corto- e mediometraggi, la sezione selezionava una dozzina di film, il cui bacino erano prevalentemente i saggi finali delle numerose scuole di cinema tedesche. Nel corso degli anni la sezione ha anche saputo selezionare alcuni talenti che poi sono sbocciati, ma – nell’insieme – ha mantenuto la caratteristica di una piattaforma, diciamo così, piuttosto scolastica.
Nell’ultima edizione, quella del 2023, figurava anche il film adesso presentato al Festival del Cinema Tedesco a Roma, intitolato Elaha, appunto il saggio finale di Milena Adoyan regista trentaduenne nata in Armenia ma di origine curda, che a partire dal 2015 si è iscritta alla Filmakademie del Baden-Württenberg con sede a Ludwigsburg, vicino a Stoccarda. Passato già l’estate scorsa al Festival di Giffoni, Elaha (nome di battesimo della protagonista) ricalca in tutto e per tutto il tipico film/saggio finale, per la sua ingenuità, per un’attitudine piuttosto didascalica, per una gestione non (ancora) del tutto convincente di sceneggiatura e montaggio – e dire che Adoyan era iscritta in primis alla sezione di sceneggiatura…
Il film racconta qualcosa che abbiamo visto già decine di volte: Elaha sta per sposarsi, il fidanzato le piace sì ma non più di tanto, l’importante è che piaccia, sia piaciuto ai genitori di lei, che i futuri consuoceri ben si conoscano etc. etc. Non chiamiamolo matrimonio combinato ma poco ci manca. Peccato che prima di giungere al matrimonio ci sia da affrontare una questione che appare chiara e spinosa fin dai primissimi minuti del film: la ragazza non è vergine. Vengono vagliate diverse soluzioni: la ricostruzione dell’imene, il sanguinamento fasullo al momento dell’atto sessuale, la verità alla famiglia e al futuro fidanzato, mandare tutto all’aria. Gli spettatori vengono trascinati per quasi due ore fra queste possibili opzioni, con una serie di personaggi di contorno – le amiche di lei, la sorella del fidanzato, i suoceri, la responsabile di un corso di formazione, un ragazzo, di origine slava, che ha scontato alcuni mesi di carcere, con cui Elaha continua di tanto in tanto a vedersi – che variano all’infinito il conflitto di fondo, senza che veramente vengano ad aggiungersi nuovi elementi tali da giustificare la durata del film. Non diciamo quale sia la soluzione per la quale Elaha alla fine propende, diciamo che gli ultimi cinque/dieci minuti del film sono forse i migliori perché quanto meno producono una certa sorpresa.

Per il resto tutto, purtroppo, visto e rivisto: il conflitto fra modelli di comportamento e di inclusione che si tramandano di generazione in generazione – con frasi, anch’esse, sentite e risentite (“Se sapessi che non sei più vergine, preferirei tu fossi morta”, così dice la madre a Elaha, in un grandioso attacco di empatia e di affetto materno) – e modelli alternativi, consapevolmente o inconsapevolmente, introiettati, ovvero quelli del mondo in cui le ragazze, le donne (Elaha ha 22 anni, anche se sembra molto più giovane) si trovano a vivere, ovvero il mondo tedesco, seppur nella sua versione provinciale, il ruolo dell’abbigliamento, il ruolo delle tradizioni, fatte anche di cibo e di canti, il continuo switch, anche all’interno della stessa frase, fra il curdo, la lingua di appartenenza, e il tedesco. Gradevole, al netto di una a tratti feroce dinamica di genere, un momento di solidarietà fra fidanzato e fidanzata, là dove si capisce che alle imposizioni subite da Elaha e dalle donne in generale ne corrispondono di analoghe, di cui sono vittima i maschi coetanei, essi stessi prigionieri degli obblighi declinati dalla generazione dei padri e delle madri, che continuano, malgrado tutto, a dettare legge.
Elaha; regia: Milena Aboyan; sceneggiatura: Milena Aboyan, Constantin Hatz; fotografia: Christopher Behrmann; montaggio: Elias Ben Engelhardt; interpreti: Bayan Layla (Elaha), Armin Wahedi (Nasim), Derya Durmaz (la madre), Hadnet Tesfai (Stella); produzione: Kinescope Film; origine: Germania, 2023; durata: 110 minuti.
