Cannes a Roma mon amour! (Roma, 7-13 luglio 2025): Jeunes Mères di Jean-Pierre e Luc Dardenne

  • Voto

Non so, non ho contato quante volte i Fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne sono stati al Festival di Cannes, in ogni caso hanno già vinto la Palma d’oro due volte: nel 1999 con Rosetta e nel 2005 con L’enfantappartengono quindi a quel ristretto empireo di grandi registi che hanno avuto questo onore insieme a Francis Ford CoppolaShōhei ImamuraEmir KusturicaBille August (ohibò, ahimè!!!), Michael HanekeRuben Östlund e Ken Loach. E se è vero il detto che non c’è due senza tre, hanno mirato anche con questo Jeunes Mères a triplicare il proprio personale palmares. Non a torto dato che il loro cinema, ormai da un’eternità, e facendo scuola in tutto il mondo, è diventato una perfetta e oliata macchina da guerra dove non si intravedono che minime crepe – non sarà nuovo di zecca, di certo, ma resta adamantino, sfiora la perfezione o quasi. Ed è costruito essenzialmente, com’è noto, sul low budget, su un grande, implacabile realismo del narrato e sull’uso di attori, più spesso e più volentieri, non professionisti – praticamente tutti/e come in quest’ultimo caso, salvo le due madri della storia: India Hair e Christelle Cornil che, per altro, aveva già lavorato con i Dardenne.

Prosegue così quell’ormai storico viaggio dei nostri Fratelli belgi  all’interno dei corpi di creature ferite e marginali.  Lo fanno questo viaggio a cadenza regolare di circa tre anni l’uno dall’altro film – i loro due scorsi, lo ricordiamo, si intitolavano L’età giovane (2019) e Tori e Lokita (2022) – e per mezzo del loro inconfondibile stile segnato dalla esuberanza presenza della macchina a mano e da lunghi piani-sequenza. Non posso quindi che ripetermi qui e perdonate questa autocitazione dalla mia recensione a Tori e Lokita per cui avevano ricevuto appunto a Cannes il Premio speciale del 75°. Scrivevo: “sono convinto, sono estremamente convinto che la semplicità sia una dote somma nell’arte (e non solo lì). Semplicità – si badi bene – non significa semplificazione, semplicismo, banalità, pauperismo d’idee, ecc. bensì qualcos’altro: la meravigliosa capacità di arrivare al nocciolo delle cose (o dei sentimenti) con tocchi di pollice minimi, quasi impercettibili. Una dote che per esempio in Francia ha posseduto al cinema uno dei suoi sommi maestri, Robert Bresson”.

Il che accade puntualmente anche in Jeunes Mères con la differenza che qui il numero delle figure descritte si è moltiplicato rispetto al passato. Jessica, Perla, Julie, Ariane (e Naïma che, però. presto sparisce di scena) sono delle giovanissime madri che convivono in una casa- famiglia che le accoglie. Ma non è solo il luogo dove si sono rifugiate, che condividono, è soprattutto una scomoda condizione e un passato-presente amaro che accomuna queste quattro adolescenti segnate e piagate da tante difficoltà, disillusioni e solitudini, a cui loro, però e per fortuna, oppongono la volontà della ragione di andare avanti malgrado tutto. Così silenziosamente anche se con scenate, litigi e incazzature varie, dopo aver magari avuto un parto impegnativo o esser ricadute per l’ennesima volta nei tentacoli della droga, tra pannolini, rotture traumatiche e prima di tutto sogni infranti, combattono, sono costrette a combattere, per un futuro diverso e migliore per se stesse e per i propri bebè. La lotta è difficile, si perdono a volte delle piccole battaglie ma non la guerra, sino che lentamente si comincia ad intravedere un sottile ma sicuro filo di speranza.

Toccante, senza inutili patetismi, stringente, un colpo allo stomaco come il suo icastico titolo, Jeunes Mères descrive, con il consueto stile asciutto da documentario e con una gran presenza della mdp, un inanellarsi in parallelo di vicende simili ma diverse l’una dall’altra come diverse sono le varie protagoniste ognuna segnata a proprio modo dalla vita e dalle relazioni umane, familiari e con i loro ex-compagni. Diversamente da altre opere dei Dardenne, più costruite su pochi personaggi, qui lo spettatore è chiamato ad una grande attenzione e a non distarsi mai nel corso del film, per non perdersi nell’intreccio dei diversi fil rouge – e talvolta, forse, proprio qui sta l’unico neo di bellezza che si potrebbe rimproverare agli autori.

Per i  Dardenne vale, dunque, un celeberrimo verso del poeta Friedrich Hölderlin “Wo aber Gefahr ist, /wächst das Rettende auch” (e cioè: “Dov’è il pericolo, è anche la salvezza”). Lo straordinario in un film come Jeunes Mères sta come riesca, per merito di quella virtuosa semplicità di cui parlavo sopra, a mostrare questa “salvezza” e renderla credibile allo spettatore.

Quattro belle stelle ancora una volta.

Premio per la migliore Sceneggiatura al Festival di Cannes 2025.


Jeunes Mères – Regia e sceneggiatura: Jean-Pierre e Luc Dardenne; fotografia: Benoît Dervaux; montaggio: Tristan Meunier, Marie-Hélène Dozo; scenografia: Igor Gabriel; interpreti: Lucie Laruelle (Perla), Babette Verbeek (Jessica), Elsa Houben (Julia), Janaïna Halloy Fokan (Ariane), Samia Hilmi (Naïma), Jef Jacobs (Dylan), Günter Duret (Robin), Christelle Cornil (Nathalie, la madre di Ariane), India Hair (Morgane, la madre di Jessica), Joely Mbundu (Angèle), Claire Bodson (Isabelle), Eva Zingaro (Asun), Adrienne D’Anna (Yasmine), Mathilde Legrand (Lucie), Hélène Cattelain (Sylvie), Selma Alaoui (La direttrice Betty); produzione: Delphine Tomson per Les Films du Fleuve, Archipel 33>35, The Reunion; origine: Belgio/Francia, 2025; durata: 105 minuti; distribuzione: BIM, Lucky Red.

 

 

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *