Festival di Cannes (13 maggio – 24 maggio 2025): Love me tender di Anna Cazenave Cambet (Un Certain Regard)

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Tratto dal romanzo omonimo di Constance Debré, Love me tender è il secondo lungometraggio della registra francese Anna Cazenave Cambet. Il film segue le vicende di Clémence (Vicky Krieps), ovvero una moglie-madre-donna che sceglie di confessare al marito Laurent (Antoine Reinartz) che le è capitato di aver avuto relazioni con altre donne e di essere da loro attratta. Ciò porterà lui a chiedere il divorzio e lei si troverà, con non poca fatica, a destreggiarsi nell’arduo processo legale relativo al loro figlio Paul (Viggo Ferreira-Redier), che viene affidato alla custodia del padre, poiché lei è considerata troppo irresponsabile e instabile per badare a suo figlio. Clémence è così costretta a portare il peso del (suo) mondo sulle proprie spalle, mentre inizia a esplorare più a fondo aspetti della sua identità finora a lei sconosciuti. Per chi scrive, è possibile offrire al lettore due possibili chiavi di lettura all’opera: l’una, si potrebbe dire d’impatto e che risponde a una visione “superficiale”, l’altra, invece, corrisponde a una prospettiva più riflessiva e che rimanda a elementi più nascosti o, meglio, a un senso profondo, e perciò più stratificato, ma certamente più toccante e invadente la coscienza dello spettatore. Procedendo per gradi, veniamo alla prima. In fondo Love me tender sembra adattarsi di più a un film come Kramer vs. Kramer, declinando il racconto secondo temi legati all’identità sessuale e alla libertà femminile. Allora, rispetto a questo possibile punto di vista, hanno colto bene alcuni diversi critici (come, a esempio, Gianluca Arnone su Cinematografo.it) che hanno messo in evidenza il carattere volutamente ideologico della drammaturgia di tutto il film come anche quello a volte troppo spesso “capriccioso” dell’evolversi delle vicende. I passaggi narrativi appaiono come “forzati”, imposti da una realtà che a volte sembra addirittura insistere su pretesti poco credibili. Questo rischia di essere controproducente anche rispetto alla pur “giusta causa” di provare a mettere in scena l’indipendenza del femminile. Ciò che si salva, tenendo sempre per buona la prima prospettiva proposta, è il mostrare una persona che è in continuo mutamento, soprattutto perché è costretta a trovare un equilibrio tra i diversi ruoli che ricopre nella vita personale e professionale, barcamenandosi tra le responsabilità di madre di un figlio che si allontana sempre di più da lei e il crescente desiderio di esplorare la propria identità sessuale, un’esperienza al tempo stesso emozionante e scoraggiante. I diversi aspetti della sua identità iniziano gradualmente a sovrapporsi, ed è qui che tutto diventa più confuso, poiché i confini precedentemente ben definiti tra loro iniziano a sfumare, gettando le basi per uno sguardo stimolante sul suo mutevole stato psicologico ed emotivo.

Questo altalenarsi quasi viscerale funziona ed è quello che più rimane. Ma, a ben vedere, seguendo un altro spunto, il film (forse non badando neppure in modo chiaro e lineare le intenzioni della regista) presenta un tema alquanto interessante e degno della nostra attenzione. Un aspetto della vicenda che non emerge a un primo di livello del nostro sguardo. Sì, perché si trova più in fondo nell’animo; è come se fosse inabissato proprio nelle coscienze di tutti noi, protagonisti e spettatori insieme che in questo caso siamo come “messi a livella” di fronte ad esso. Questo consiste nel fatto che spesso (quasi sempre in verità) “è difficile, quasi come volare” (cantava Lucio Battisti) accettare che la persona che sia ama (o, meglio, che si crede d’amare) a un certo punto scelga di andare via, lontano verso quelle nuove consapevolezze che propri percorsi dell’identità hanno spalancato. Ma forse non basta l’uso del verbo “accettare”. Meglio forse scrivere “fare i conti in modo equilibrato e sano con quel sentimento che ci fa scoprire come dei superati agli occhi di chi amiamo (o crediamo d’amare)”. A dire il vero Love me tender non parla di tutto questo, e probabilmente non ne vuole nemmeno parlare. Eppure, è di questo che noi spettatori in silenzio, dentro di noi ci accorgiamo, quasi in modo impercettibile, ma che però ci segna lo sguardo come il cuore di fronte alle poche gesta di Laurent (che tra l’altro si vede pochissimo rispetto alle pur assai lunghe, secondo chi scrive, due ore e più di cinema). Questo modo equilibrato e sano sembra non esistere per noi comuni mortali, o al massimo si raggiunge chissà quando. Quelle poche volte che vediamo Laurent, egli appare sempre impacciato, quasi costretto ad assumere comportamenti negativi contro Clémence. È come se non sapesse fare altro che provare in tutti i modi a renderle complicata la vita. In più scene Antoine Reinartz riesce a farci “sentire” quanto Laurent agisca come diviso tra volere e non volere essere com’è. È l’impossibilità a farsi una ragione come anche un sentimento rispetto al fatto che Clémence non lo ami più che lo guida nelle sue scelte che di fatto complicano i rapporti tra la madre e Paul. Altro non sembra sapere fare Laurent. A volte certi film, forse non del tutto riusciti come Love me tender, ci lasciano a loro insaputa interrogativi che travolgono la nostra interiorità e con i quali dobbiamo confrontarci. Il senso dell’invisibile allora vince quello del visibile, ed è sempre al primo che vale la pena rivolgersi se veramente vogliamo “andare al cinema”.


Love me tender – Regia: Anna Cazenave Cambet; sceneggiatura: Anna Cazenave Cambet; fotografia: Kristy Baboul; montaggio: Joris Laquittant; musica: Maxence Dussere; Design: Mathilde Poncet; Interpreti: Vicky Krieps (Clémence), Monia Chokri (Sarah), Viggo Ferreira-Redier (Paul), Antoine Reinartz (Laurent), Féodor Atkine (padre di Clémence), Park Ji-min (Victorie), Manuel Vallade (Yann), Aurelia Petit, Salif Cissé, Julien De Saint Jean, Malou Khebizi, Anna Sigalevitch, Tallulah Cassavetti, Antoine Michel produzione:  Raphaëlle Delauche, Vicky Krieps, Bernard Michaux, Nicolas Sanfaute per Novoprod; origine: Francia, 2025; durata: 134 minuti.

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