A suo modo Testa o croce? è uno spaghetti-western, sia pure riveduto e corretto alla maniera di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis, i due regista che si fecero conoscere nel 2021 con Re Granchio. Tale è, si direbbe, a partire dal titolo, che ricorda quel Testa o croce, senza punto di domanda, da Piero Pierotti firmato nel lontano 1969.
Accolto a maggio a Cannes nella sezione Un Certain Regard, esce ora in sala anche in Italia. Certo incuriosisce l’idea di realizzare un western tutto italiano, anche nel senso dell’ambientazione, prendendo spunto dalla leggendaria sfida tra butteri e cowboy che avvenne in due tappe, nelle campagne alle porte di Roma, il 4 e 8 marzo 1890.
Esiste tutta una letteratura in materia, ma sicuramente per William F. Cody, allora appena 44enne, fu un discreto smacco: star assoluta del suo “Buffalo Bill’s Wild West Show”, lo spettacolo circense portato in giro nel mondo insieme all’afflitto Toro Seduto, il mitico cacciatore di bisonti e di indiani dovette riconoscere che quei vaccari italiani, non solo maremmani, sapevano il fatto loro.
Testa o Croce? gioca con la materia per inventarsi una storia che sembra una scorribanda cinefila nel genere western, tra omaggi, strizzatine d’occhio e “furti”, benché i due autori – l’uno nato a Jackson in Mississippi, il secondo a Roma – custodiscano ambizioni più alte, si direbbe: compiere un’operazione di mitopoiesi per trapuntare la storia avventurosa di riferimento sociali e politici.
Testa o Croce? parte benissimo. Per orgoglio, il “cavallaro” Santino non ci sta a perdere con quei cowboy americani piuttosto arroganti, così vince la gara facendo incavolare il capitano Rupé che aveva scommesso contro di lui. Non bastasse, Santino si ritrova nella stalla mentre la bella Rosa ammazza con un colpo di pistola il medesimo Rupé, suo marito violento; a quel punto ai due, che forse si piacciono, non resta che darsi alla macchia, inseguiti da sicari, soldati e dallo stesso Buffalo Bill. La taglia? Cento scudi d’oro messi a disposizione dal vecchio Rupé, il latifondista senza scrupoli che vuole ad ogni costo la testa di Santino.
Tutto abbastanza classico: amore, fuga, orgoglio, inseguimenti, notti sotto le stelle, fango, sudore e polvere da sparo. Divertente? Fino a un certo punto. Perché poi il film un po’ sdrirazza, diventa allucinato e onirico, pure parecchio confuso nell’intrecciare cliché western e rivolte anarcoidi, dettagli macabri ed empiti romantici.
«Se dovete sparare, non sbagliate il bersaglio» sentenzia Buffalo Bill, esibendo la sua vecchia Colt Navy tutta istoriata; mentre il bieco capitalista sogghigna: «Non ci hanno fermatogli scioperi, nessuno fermerà la costruzione della ferrovia». Insomma, avete capito.
Naturalmente, in questa chiave cinefila, i riferimenti si sprecano. I primi che mi vengono in testa? Voglio la testa di Garcia di Sam Peckinpah, Per qualche dollaro in più e Giù la testa di Sergio Leone, Tepepa di Giulio Ferroni, Quien Sabe? di Damano Damiani, Vamos a matar compañeros di Sergio Corbucci, l’episodio Che cosa sono le nuvole? di Pier Paolo Pasolini, forse Buffalo Bill e gli indiani di Robert Altman, certe atmosfere sospese care al Monte Hellman di Le colline blu e chissà quanti altri.
Diviso in quattro capitoli, il film è inconsueto nell’attuale panorama italiano, l’ultimo che provò a fare qualcosa del genere fu Giovanni Veronesi con Il mio West; e certo i due registi debbono essersi parecchio divertiti nel mischiare le carte, tra suggestioni antagoniste, riflessioni sul mito e mosche attaccate alle facce.
Conciato un po’ come il Volonté dei suoi western, col viso bruciato dal sole, Alessandro Borghi fa l’incauto e romanissimo Santino, che si ritrova capo rivoluzionario senza nulla sapere della rivoluzione, però lì per lì gli piace l’idea; la francese Nadia Tereszkiewciz, rivelata da Mon crime di Ozon, è la disinvolta, sensuale e cinica Rosa; il redivivo Gianni Garko incarna l’avido e cattivissimo Rupé; il migliore in campo mi pare l’americano John C. Reilly che fa un Buffalo Bill un po’ alla fratelli Coen: sornione, narcisista ed elegantone, pure bravo nell’intonare una struggente cowboy song, Birdie, scritta apposta per il film da Vittorio Giampietro (ma “little dogies”, mi riferisco ai sottotitoli, nella versione da me vista, non significa cagnolini bensì vitellini).
Presentato al Festival di Cannes 2025 nella sezione “Un Certain Regard”.
In sala dal 2 ottobre 2025.
Testa o Croce? – Regia: Alessio Rigo de Righi, Matteo Zoppis; sceneggiatura: Alessio Rigo de Righi, Matteo Zoppis, Carlo Salsa; fotografia: Simone D’Arcangelo; montaggio: Andres P. Estrada; musica: Vittorio Giampietro; scenografia: Rachele Meliadò; interpreti: Nadia Tereszkiewicz, Alessandro Borghi, John C. Reilly, Peter Lanzani, Mirko Artuso, Gabriele Silli, Gianni Garko; produzione: Tommaso Bertani, Alex C. Lo, Filippo Montalto, Massimiliano Navarra, Olivia Musini, Stefano Centini, Agustina Costa Varsi per Ring Film, Cinema Inutile, Rai Cinema, Andromeda Film, Cinemaundici, Volos Films; origine: Italia, 2025; durata: 91 minuti; distribuzione: 01 Distribution.
