Grand Tour di Miguel Gomes

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Grand Tour, il nuovo film del regista portoghese Miguel Gomes (Tabu, Le mille e una notte – Arabian Nights) e vincitore al Festival di Cannes 2024 del Premio per la miglior regia, evoca nel titolo il tema europeo del grand tour, il classico viaggio educativo e propedeutico alla maturità che compivano solitamente i giovani rampolli dell’aristocrazia per conoscere le bellezze artistiche dell’Europa. Del grand tour classico il film di Gomes però ha mantenuto solo il titolo, visto che il viaggio alla scoperta delle bellezze si svolge in Asia nell’anno 1918. Pure le motivazioni di viaggio nell’opera del regista lusitano sono molto diverse dall’originale e risultano in ogni caso poco rilevanti per le finalità del regista, il quale desidera semplicemente accompagnarci in un viaggio alla scoperta del continente asiatico.

A Rangoon, città della Birmania coloniale britannica, l’impiegato Edward (Gonçalo Waddington) è prossimo al matrimonio. Quando gli giunge la notizia dell’arrivo imminente di Molly (Crista Alfaiate) da Londra, con la quale è fidanzato da sette lunghi anni, preso da sgomento, si dà alla fuga il giorno stesso del suo arrivo, quando dovrebbe invece essere a riceverla. La prima parte del film racconta dell’itinerario di Edward che si sposta in nave dalla Birmania a Singapore. Nella tappa successiva, sulla strada per Bangkok, viene bloccato nel mezzo della giungla da un deragliamento del treno ed è costretto a proseguire a piedi. Mentre lo raggiungono i telegrammi preoccupati di Molly lo troviamo a Saigon, Osaka e Shanghai e nella regione cinese del fiume Yangtze, il Fiume Azzurro. La seconda parte del film invece ritrova Molly appena arrivata a Rangoon che, testarda, si mette alle costole del codardo fidanzato, e comunque sicura che lui la ami ancora, cerca con ogni mezzo di raggiungerlo.

L’eccentrico Gomes, pur nell’apparente linearità della storia narrata, si permette un complicato montaggio che lega sequenze descrittive e girate dalla troupe nei luoghi che i due protagonisti visitano, ad altre più narrative e completamente girate in studio, che portano avanti la storia. Quest’ultima è legata alle voci dei protagonisti che si concedono una lunga e dettaglia descrizione del loro itinerario di viaggio. Come se fosse un diario, il resoconto dei loro movimenti viene arricchito e vivacizzato da aneddoti e parentesi che seguono il principio del racconto nel racconto. Proprio come procedeva in Tabu. Le immagini in bianco e nero vengono frammezzate ad immagini a colori – riprese in 16 mm – di un spettacolo di teatro di ombre birmane. E quest’ultima, pur non essendo l’unica sequenza atemporale presente nel film, è forse l’unica che viene continuamente riproposta lungo tutta la narrazione.

Gonçalo Waddington

Come anche nei suoi lavori precedenti, Gomes si rivela essere un regista tutt’altro che facile, anzi lo potremmo definire un amante di una costruzione filmica molto complessa. Innanzitutto, perché pretende dai suoi spettatori di essere un pubblico attivo e partecipe; e da diligenti osservatori, compiere lo sforzo d’immaginazione di proseguire la storia anche in assenza dei due protagonisti. Uno stratagemma che richiede appunto una  partecipazione individuale molta attiva. Ed è anche per questo che ogni tanto vengono inseriti degli inserti chiamiamoli “di pausa”. Uno di questi intervalli ci mostra un momento in ralenti del traffico di scooter nella città di Saigon al ritmo del celebre valzer ‘Sul bel Danubio blu’ di Strauss. In questo modo Gomes ottiene un perfetto effetto di straniamento ed un continuo richiamo all’attenzione della storia. Il Premio per la miglior regia ricevuto al Festival di Cannes risulta quindi meritatissimo, andando a coronare l’impegno per uno stile che non cerca solo d’intrattenere ma che si accompagna ad una riflessione sul medium stesso.

In sala dal 5 dicembre 2024


Grand Tour – Regia: Miguel Gomes; sceneggiatura: Telmo Churro, Maureen Fazendeiro, Miguel Gomes, Mariana Ricardo; fotografia: Gui Liang, Sayombhu Mukdeeprom, Rui Poças; montaggio: Telmo Churro, Pedro Filipe Marques; sonoro: Li Kelan, Vasco Pimentel; interpreti: Gonçalo Waddington, Crista Alfaiate, Cláudio da Silva, Lang Khê Tran, Jorge Andrade, João Pedro Vaz, João Pedro Bénard, Teresa Madruga, Joana Bárcia; produzione: Uma Pedra no Sapato, Vivo Film, Shellac Sud, Cinéma Defacto; origine: Portogallo/Italia/Francia, 2024; durata: 129 minuti; distribuzione: Lucky Red.

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