“La violenza era come un cancro nelle nostre viscere privilegiate, si nutriva del potere dei nostri padri divorando la nazione. Ora tutto sembra più comico che tragico. Rossosperanza è nera come le nostre anime e rossa come il sangue che ha lavato i nostri peccati” (Annarita Zambrano).
Esiste nel mondo del cinema una diceria (o, se si vuole, addirittura una “legge”) per cui il secondo film nella carriera di un autore/trice cinematografico/a sarebbe il più difficile da realizzare. Non sappiamo se ciò sia sempre vero, ma lo è stato probabilmente per la regista romana Annarita Zambrano alla sua seconda prova nel lungometraggio di finzione dopo aver brillantemente debuttato con Dopo la guerra nel 2017 a Cannes nella sezione “Un Certain Regard”. Adesso si ripresenta a sei anni, lunghi, di distanza con questo Rossosperanza in Concorso alla 76° Edizione del Festival di Locarno, dopo che è già passato, sempre nella sezione competitiva, qualche giorno fa, un altro film italiano, l’opera prima di Simone Bozzelli, Patagonia, la storia di un ragazzo abruzzese in fuga e del suo ambivalente sodalizio con un girovago animatore di bambini.
Nel precedente Dopo la guerra, la filmmaker capitolina era tornata indietro – lei classe 1972 – ai terribili “anni di piombo”, rievocando le drammatiche ferite aperte dalla lotta armata nell’Italia degli anni Settanta, E seguiva le vicende della fuga dalla Francia di un militante di sinistra in Nicaragua a seguito di un omicidio politico insieme alla figlia adolescente mentre in Italia la madre, la sorella e il cognato magistrato si trovano costretti a pagare per le colpe dell’uomo. Anche nel secondo film, Zambrano ritorna al recente passato del nostro paese, ma questa volta siamo agli inizi degli anni Novanta e la chiave espressiva del film muta dal dramma politico ad un registro – come lei stesso afferma – vicino alla commedia nera e al grottesco.
Quattro ragazzi “disadattati” – o almeno è quello che pensano le loro altolocate famiglie – vengono rinchiusi in un costoso istituto di rieducazione, Villa Bianca, per farli tornare “normali” dalle loro stranezze comportamentali e così ri-renderli accettabili alla società bene e borghese a cui appartengono. Ma Zena, Marzia Alfonso e Adriano, i figli reietti da una presunta normalità sociale della Upper class, si oppongono, chi più chi meno e in varia maniera, a questo gioco al massacro che coinvolge loro stessi e chi li segue – così come simbolicamente una tigre che si aggira libera e feroce nei dintorni della Villa, è pronta a uccidere (e uccide) quanti la vogliono rimettere in gabbia.
Immediatamente, quando abbiamo visto Rossosperanza, abbiamo pensato al cinema ribelle di Marco Bellocchio e in particolare a quell’epocale film intitolato Nel nome del padre (1972) in cui, però, si metteva in scena soprattutto la rivolta contro l’educazione cattolica dato che era ambientato in un collegio religioso e non in una clinica di rieducazione al cosiddetto ordine comune del quotidiano.
È molto bello, nobile e oltretutto assai poco di moda che una regista contemporanea voglia trovare ispirazione in un cineasta irrequieto e profondo come Marco Bellocchio oppure, per esempio, nel ribellismo disperato di un Bernardo Bertolucci così è avvenuto nel sofferto La tragedia di un uomo ridicolo (1981) – altra cosa è, però, riuscire a rendere queste inquietudini e suggestioni in un racconto filmico altrettanto denso e coeso, fatto ai giorni nostri. Ci sembra che proprio seguendo la propria ispirazione ad applicare modelli autoriali molto alti Annarita Zambrano sia stata più felice nei risultati del suo primo film che non in quest’ultimo. Perché Rossosperanza, a nostro avviso, pecca un po’ troppo di un certo schematismo ideologico e simbolico di cui è venata la sceneggiatura, non riuscendo a trovare – non sempre per carità ma il più delle volte – la chiave giusta e più efficace per narrare in modo completamente convincente la storia dei suoi giovani ribelli. Né è sempre efficace la resa scenica dei protagonisti scelti tra attori in parte debuttanti nel cinema per la sala con l’intento di restituire la naturalità delle loro rivolta psicologica e dei loro comportamenti più o meno volontariamente protestatari.
Fatta comunque la tara di tali increspature, Rossosperanza conferma, però, il potenziale talento di una autrice che potrebbe riservarci delle ottime, migliori prove future. E ci auguriamo di poterle vedere al più presto.
Anteprima Lunedì 21 agosto 2023 – Ore 21:00 con la regista e il cast alle “NOTTI DI CINEMA A PIAZZA VITTORIO” (Roma, P.za Vittorio Emanuele II)
In sala dal 24 agosto 2023
Rossosperanza – Regia e sceneggiatura: Annarita Zambrano; fotografia: Hoyte van Hoytema; montaggio: Cecilia Zanuso; musiche: Vincenzo Foniciello; interpreti: Margherita Morellini, Leonardo Giuliani, Ludovica Rubino, Luca Varone, Daniela Marra, Andrea Sartoretti, Antonio Zavatteri, Claudia Zanella, Rolando Ravello; produzione: Mad Entertainment, TS Productions, Minerva Pictures, Rai Cinema, con il contributo del Ministero della Cultura, con il sostegno di Regione Lazio; origine: Italia/Francia, 2023; durata: 87 minuti; distribuzione: Fandango.