-
Voto

Una fotografia. Un’isola, un marito, una moglie, un’unità familiare finalmente ricomposta. Si dice che su quest’isola non piovano missili, non ci sia la guerra, e la luce elettrica illumini le serate. In fondo, a chi importa della struttura di potere, quando vi è benessere e sicurezza… Con un’esplosione Yasmina e Nino sono venuti al mondo, a cinque minuti di distanza l’uno dall’altro. A accoglierli, una Beirut crocevia del mondo arabo, faro di cultura e progresso, capace di lanciare shuttle nello spazio mentre era sotto l’assedio di bombe israeliane, quelle che, nel film, non vedremo mai. Ciò che il regista ci mostra sono invece le macerie del passato e le isterie del presente. E fuochi d’artificio.
Uno di questi centrò l’auto dei genitori di Nino (quelli della fotografia). Da allora, Nino spera prima o poi di raggiungere la sua isola e ricomporre un’unità familiare. Più che di bombardamenti, il debuttante Cyril Aris dirige un film di esplosive irruzioni emotive, di pirotecnici fuochi diligentemente orchestrati. Vi sembra esserci uno strambo deus ex machina a muovere i fili dello spettacolo, un mistico inventore che sproloquia di stelle, le cui carte astrali causano l’incidente d’auto che fa incontrare di nuovo Nino e Yasmina. Attraverso il varco temporale di un orecchino, i due vengono risucchiati nell’infanzia, in quel momento in cui si conobbero, si amarono e, a causa della separazione dei genitori di lei, si persero.
Un principio di divergenza sembra governare questa Beirut profondamente divisa, riprodotta in piccolo nel ristorante che Nino ha ereditato. Per accontentare tutti, il suo menù è internazionale e lui, a differenza dello chef, è ben lieto di assecondare ogni bizzarra richiesta della clientela. Un po’ come il regista, che ci serve un antipasto di nevrosi urbana come stuzzichino, in attesa dei piatti forti della sua cucina globale: come primo, una favola di reincanto per assaporare di nuovo le fughe amorose e gli occhioni dolci del primo amore; e, come secondo, un ricco assortimento di destini infranti.
Furbescamente, Aris attinge dalla realtà libanese quel pizzico che basta per forzare al meglio e insaporire le sue situazioni drammatiche “sulla carta”. Con un flashforward ci ritroviamo nel 2019, in piena crisi finanziaria: Nino e Yasmina hanno una figlia ormai cresciuta, le banche affondano, lui disegna le fondamenta di un nuovo ristorante sognando una Beirut stellare, mentre lei guarda verso un’altra isola. Niente ci è descritto della supposta miseria che millantano i personaggi, solo un’isteria collettiva che pervade le strade.
Improvvisamente, un’esplosione. “Un boato sonoro, non una bomba israeliana”, ci tiene a precisare Nino. Niente missili in questo film, solo una perenne paranoia, lo spettro di una minaccia solo supposta che giustifica il desiderio di fuggire verso maggior sicurezza e benessere. Come i colleghi di Nino, che hanno trovato lavoro in Arabia Saudita, o come Yasmina, che accetta di trasferirsi a Dubai, la cui immagine dalla distanza, cartolinata, chiude il film.
Affrontando il dramma dell’esilio esclusivamente dal punto di vista individuale di una classe borghese chiusa nella propria bolla, il regista costruisce la sua isola felice (la sceneggiatura) come quei grandi costruttori di utopie dei moderni regnanti arabi: mascherando i rapporti sociali sotto una favola di reincanto dal gusto occidentalista. Attraverso questo pirotecnico ordito di destini di carta, Aris rassicura lo spettatore globale della propria posizione al calduccio, mentre gli serve un piatto di crisi mediorientale condito con la stessa superficialità a cui è da sempre abituato. E vissero tutti felici e contenti.
A Sad and Beautiful World – Regia: Cyril Aris; sceneggiatura: Cyril Aris, Bane Fakih; fotografia: Joe Saade; montaggio: Nat Sanders, Cyril Aris; scenografia: Hanady Medlej; costumi: Zeina Saab Demelero; musica: Anthony Sahyoun; sonoro: Rana Eid, Lama Sawaya, Bassam Lebbos; interpreti: Mounia Akl, Hasan Akil, Julia Kassar, Camille Salameh, Tino Karam, Nadyn Chalhoub; produzione: Georges Schoucair per Abbout Productions, Jennifer Goyne Blake e April Shih per Diversity Hire, Georg Neubert e Jasper Wiedhöft per Reynard Films, in co-produzione con Sunnyland Film, Member of ART and The Red Sea Fund, Red Sea International Film Festival Initiative; origine: Libano/ Stati Uniti/ Germania/ Arabia Saudita/ Qatar, 2025; durata: 110 minuti.
