Festival di Venezia (27 agosto – 6 settembre 2025): Cotton Queen di Suzannah Mirghani (SIC – Concorso)

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Suzannah Mirghani

La giovane regista sudanese-russa Suzannah Mirghani esordisce a Venezia con il suo primo lungometraggio Cotton Queen, un coming-of-age in bilico fra il racconto di una idilliaca vita contadina, un passato segnato dal colonialismo e un futuro minacciato dalla modernità. Figura di spicco, che si muove fra queste realtà, è l’adolescente Nafisa (Haram Basher). Sta infatti a lei, nipote dell’anziana saggia del villaggio decidere del suo futuro e così anche del futuro della sua comunità.

La giornata della giovane Nafisa che abita un villaggio ancora prevalentemente legato alla produzione locale del cotone, è diviso fra il lavoro nei campi con le altre ragazze della sua età e il tempo passato ad ascoltare i racconti di gesta eroiche di un passato mitizzato della nonna Al-Sit (Rabha Mohamed Mahmoud). Quest’ultima racconta del suo coraggioso ribellarsi ai coloni britannici e della lotta per l’indipendenza per la quale è stata incoronata con il nome di Cotton Queen. Essendo l’anziana del villaggio esperta di erbe medicinali poi, il suo consiglio viene rispettato anche dagli altri contadini. Tanto più che il suo cotone ha la miglior qualità e purezza della zona perché ancora rispetta i procedimenti degli avi e viene raccolto da ragazze pure (cioè non ancora mestruate). Ma Nafisa, avida di sapere e curiosa, per quanto affascinata dai racconti, non sempre ormai crede a tutto quello che le viene narrato, pur rispettando e obbedendo l’anziana parente più che la madre.

L’idillio contadino sembra aver fine quando il figlio di un ricco agricoltore, Mr. Tijani, arriva a stabilirsi nella casa padronale con l’intenzione di convincere i contadini ad abbandonare il loro tradizionale cotone e seminare il suo, forte contro parassiti perché geneticamente modificato, ma incapace di produrre nuovi semi. Corteggiato da tutte le famiglie del vicinato Mr. Taijani si interessa a Nafisa, mentre lei lo rifiuta perché innamorata del coltivatore di cipolle e suo coetaneo Babiker (Talaat Fareed). Inevitabilmente arriva per Nafisa il momento di prendere in mano il suo futuro e, indipendentemente dalle volontà della nonna o dei genitori scegliere una propria strada, per quanto questa non sia la più facile.

Profondamente radicato nella tradizione sudanese della raccolta del cotone Cotton Queen racconta del passato coloniale britannico del Sudan e del presente di una comunità ancora immersa nella tradizione. Tradizione che talvolta ha la brutalità di pratiche quali l’infibulazione (la mutilazione genitale femminile), la durezza dei matrimoni precoci o spesso anche solo forzati, ma che prevede anche l’amore per la tradizionale raccolta del cotone, i riti e i canti che l’accompagnano e la tradizione orale tout court. La regista ci mostra il sottile penetrare nella comunità delle nuove tecnologie, dei social media grazie al cellulare, ma anche l’esposizione a minacce ancora più pericolose, quali l’uso di OMG.

Mirghani ha scritto una sceneggiatura pregevole, ma il suo sguardo rimane ingenuo ed intonso tanto quanto il candido bianco dei vestiti che indossano le protagoniste e che mai mostrano la fatica e lo sforzo del lavoro nei campi. I suoi personaggi risultano poco reali, validi sulla carta, ma che faticano a trasformarsi in ruoli reali fatti di carne e ossa. Eppure, rimangono alcuni momenti che offrono interessanti spunti come l’ambiguità delle forze e impulsi a cui la giovane donna sudanese si ritrova esposta anche nello spazio protetto della famiglia, perché malato di rituali antiquati e legato ad una cultura ancora fortemente patriarcale.

Da una parte quindi l’ombra del passato, simboleggiata nella casa patronale abbandonata e deserta, avvolta nell’oscura presenza di fantasmi di morti violente e racconti misteriosi, dove pochi si azzardano a metter piede per scaramanzia; dall’altra la tanto sognata modernità, che però con grande disappunto Nafisa si rende conto non porta solo bene alla comunità locale, ma anche parecchie insidie.  E poi le molte e varie tradizioni, anch’esse non completamente prive di antiquate pratiche, lesive del corpo femminile, o della libertà di scelta della donna.

Tuttavia, non c’è dramma in Cotton Queen. Le immagini rimangono sempre molto luminose e solari, sia all’inizio, come alla fine. Il tono rimane pacato, pure quando si accenna ad argomenti delicati come la mutilazione genitale. Qui anzi la regista sceglie di spiegare la pratica in modo meno violento servendosi di uno spettacolo di burattini davanti ad un pubblico bambino. Anche la scelta di realizzare alcune sequenze, quelle sognate, servendosi del realismo magico, contribuisce a continuare il discorso su un piano mitologico e fantastico più che realistico. Forse, quello che non convince del tutto lo spettatore, è proprio la mancanza di una presa di posizione di Mirghani, una scelta che infine nuoce anche al film, che rimane bloccato a metà strada fra la voglia di denuncia e la nostalgica, bucolica visione di un Sudan agricolo e pacifico.


Cotton Queen:  – Regia e sceneggiatura: Suzannah Mirghani; fotografia: Frida Marzouk; montaggio: Simon Blasi, Amparo Mejías, Frank Müller; musiche: Amine Bouhafa ; scenografia: Pierre Glemet; interpreti: Rabha Mohamed Mahmoud, Mohamed Musa, Mihad Murtada, Talaat Farid; produzione: Strange Bird, Maneki Films, Philistine films, Film Clinic, Mad Solutions; origine: Germania/ Francia/Palestina,/Egitto/ Qatar/Arabia Saudita/ Sudan, 2025; durata: 93 minuti.

 

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