Festival di Venezia (27 agosto – 6 settembre 2025): Dead man’s wire di Gus Van Sant (Fuori concorso)

  • Voto

Dopo oltre trent’anni, Gus Van Sant torna al Lido, e lo fa in stato di grazia. Dead man’s Wire è un marchingegno perfetto, teso, stranamente divertente, avvincente e attuale. La vicenda si ispira a un fatto di cronaca realmente accaduto nel 1977, di cui era già stato realizzato il bel documentario Dead Man’s Line (2018) ad opera di Alan Berry e Marc Enochs, che vi invitiamo a recuperare, ma solo dopo aver visto il film. 

La chiarezza di sguardo del regista, la padronanza e la sicurezza con cui struttura le scene, con eccezionale fermezza e potenza, inseriscono di diritto questa pellicola nella grande tradizione del cinema thriller americano .È chiaro che Van Sant percepiva appieno l’urgenza e la vitalità del progetto. Lo stesso regista ha dichiarato che, man mano che le riprese andavano avanti, notava sempre più parallelismi tra la storia narrata e gli eventi globali in corso – ci riferiamo al recente caso di Luigi Mangione accusato di aver ucciso Brian Thompson, CEO di United Healthcare a colpi d’arma da fuoco a New York City nel dicembre 2024. Il ché ha reso il suo lavoro ancora più necessario e scomodo. 

Chi conosce Van Sant sa bene il regista ha due voci, ben distinte, e dirige sempre quasi esclusivamente utilizzando l’una o l’altra: quella interiore, intimista, dilatata, sperimentale e introspettiva, e un’altra completamente opposta, esteriore, “hollywoodiana”, fedele ai canoni di genere e perfettamente padrona del filone in cui si inserisce. Questo film, sceneggiato da Austin Kolodney, appartiene senza dubbio alla seconda categoria, anche se il regista ha un legame molto personale con la storia, che si svolge a Indianapolis, in Indiana, e che è stata girata a Louisville, nel Kentucky, città natale di Van Sant.  

Il thriller racconta la storia di Tony Kiritsis, un cittadino qualunque che un bel giorno decide di averne avuto abbastanza. Si reca nella sede centrale della banca a cui aveva chiesto un mutuo, convinto che lo abbiano boicottato, prende in ostaggio Richard Hall, (Dacre Montgomery) il figlio del responsabile. Gli punta un fucile a canne mozze in faccia e lega un cavo che unisce il grilletto dell’arma al collo di entrambi. Un’idea così semplice ma uno scacco matto perfetto per la polizia, che non può né sparare né avvicinarsi ai due. 

In questo modo, Tony si allontana indisturbato e il film segue i due con crescente partecipazione. Il clima di estrema tensione viene stemperato dalla personalità curiosa e singolare di Tony: L’uomo appare confuso e agitato, ma al contempo perfettamente padrone della situazione, capace di scherzare ed estremamente consapevole delle sue azioni. Ci si interroga continuamente se sia un genio o un imbecille, e la verità probabilmente sta nel mezzo. Le richieste di Tony sono semplici, seppur ingenue: immunità assoluta e 5 milioni di dollari.  

Al Pacino

L’attore che lo interpreta, Bill Skarsgård, è stranamente amabile, come l’effettivo protagonista della storia reale. (anche se entrambi, protagonista e ostaggio, sono stati ringiovaniti di almeno vent’anni.) tra i colpi di genio del nostro “eroe” c’è quello di mettersi in contatto con un famoso speaker e DJ radiofonico (un Colman Domingo sapientemente diretto e perfettamente in parte), al quale racconterà la sua vicenda. La storia viene trasmessa in radio e a quel punto si crea un vero e proprio caso mediatico: la gente discute e si formano opinioni. 

Il nostro rapitore comincia a guadagnare consenso e sostenitori perché riesce a far dimenticare, o a sminuire, la gravità delle sue azioni e a mettere in primo piano il suo racconto: quello di un uomo comune, stritolato dal sistema finanziario americano. Un uomo che aveva un piccolo progetto, che sarebbe andato a buon fine se solo glielo avessero permesso, ma qualcosa è andato storto e ora non ha più niente: Decine di migliaia di americani si identificano in questa storia e nel modo semplice, diretto, scherzoso e ingenuo con cui Tony parla. È la voce di un’America truffata. E come spesso accade, il truffatore non subisce le dirette conseguenze: Il vero responsabile, il padre di Richard (incarnato alla perfezione da Al Pacino, che riesce a misurare il suo istrionismo e a fornire un ritratto brillante), rifiuta di scusarsi, nonostante suo figlio sia stato preso in ostaggio; questo la dice lunga sulla natura della relazione tra i due. 

“Conoscevo bene questi personaggi”, dice il regista. “Assomigliano alle persone con cui sono cresciuto. La mia famiglia ha una lunga storia di uomini d’affari del Midwest. Mio nonno, mio padre e mio zio erano tutti venditori. So com’è fatta quella vita. Anche le città in quella regione hanno un’aria da cittadina di provincia, e c’è una sorta di dislocazione che deriva dal vivere nel cuore del paese.” 

Per chiudere dobbiamo assolutamente spendere due parole e fare un enorme plauso alla straordinaria colonna sonora di Danny Elfman, una favolosa sequela di ritmi incalzanti e brani R’n’B  meravigliosamente collocata, che rende le immagini grandiose e coinvolgenti, uno dei suoi lavori migliori negli ultimi anni.

Gus van Sant ha ricevuto a Venezia il “Premio Campari Passion for Film” e il film, uno dei migliori visti sulla Laguna, uscirà l’anno prossimo nelle nostre sale con Bim.


Dead man’s wire – Regia: Gus Van Sant; sceneggiatura: Austin Kolodney; fotografia: Arnaud Potier; montaggio: Saar Klein; musiche: Danny Elfman; interpreti: Bill Skarsgård (nel ruolo di Tony Kiritsis), Dacre Montgomery (nel ruolo di Richard Hall), Colman Domingo, Myha’la, Cary Elwes, Al Pacino, John Robinson; produzione: Elevated Films, Pressman Film, Balcony 9 Productions, Sobini Films, RNA Pictures, Pinstripes; origine: Usa, 2025; durata: 105 minuti; distribuzione: Bim.

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *