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L’anno scorso ricorreva il centenario della morte dell’icona assoluta di tutta la Storia del teatro italiano (e non solo), Eleonora Duse e proprio per l’occasione era uscito alla Festa di Roma un bel documentario di una sua brava collega, Sonia Bergamasco, Duse – The Greatest, nella quale si cercava di esplorare l’arte, il fascino e il mistero di questa straordinaria interprete, chiamata non a torto “La divina”. Già qui, nella parte finale del doc, Bergamasco si intratteneva con Valeria Bruni Tedeschi per parlare del suo lavoro nel film di Pietro Marcello, del suo “corpo a corpo” con la celeberrima attrice nata a Vigevano nel 1858 e morta nel 1924 in tournée a Pittsburgh negli Stati Uniti. Il cui stile, detto sinteticamente, si basava sull’istinto, la naturalezza e la spontaneità, e che sovvertiva, in maniera assolutamente rivoluzionaria per l’epoca, i canoni tradizionali della voce impostata o di un trucco pesante, in un connubio inscindibile scenico di voce e gestualità del corpo. Ora, finalmente, a distanza quasi di un anno, ci troviamo a vedere e giudicare il frutto concreto del lavoro della Bruni Tedeschi che non possiamo non definire, con una sola parola, “magnifico”. Ma andiamo per ordine.
Classe 1976, giunto ora al suo quarto lungometraggio di finzione, il talentuoso casertano Pietro Marcello, insieme ai suoi sceneggiatori Letizia Russo e Guido Silei, ha scelto circa quattro anni – intuiamo, visto che il film evita di dirlo esplicitamente con delle didascalie – nella travagliata vita della Duse. Sono gli anni burrascosi all’incirca tra la parte finale della Prima guerra mondiale e il 1922 quando Mussolini, dopo la marcia su Roma, era stato chiamato al governo del Regno d’Italia, un momento questo molto complicato anche nell’esistenza della nostra “Divina”, nel pieno di un cambiamento epocale, la fine, cioè, di quella che Stefan Zweig ha definito il mondo di ieri, dal titolo appunto del suo libro più famoso Die Welt von Gestern: Erinnerungen eines Europäers (Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo, 1942).
In quel periodo, per la grande attrice si accavallarono insieme tanti problemi: le questioni economiche dato che aveva perso tutto il denaro accumulato nel fallimento di una Banca a Berlino, la lunga inattività professionale e il ritiro dalle scene, la conclusione del travagliato amore con Gabriele D’Annunzio (interpretato da Fausto Russo Alesi), oltre ad una grave malattia, la tubercolosi che stava sempre più progredendo ma che lei cercava di ignorare. A tutto ciò si aggiunge la trasformazione del mondo del teatro e dello spettacolo sotto l’avvento e l’irruzione della rivoluzionaria Settima Arte meccanica, quella del cinema, a cui la Duse non fu affatto insensibile anzi ne era affascinata: nel 1916 aveva recitato in Cenere di Febo Mari (tratto dall’omonimo romanzo, 1904, di Grazia Deledda) che è rimasta la prima e sua ultima apparizione davanti alla macchina da presa – il film si può vedere anche su YouTube e ne consigliamo assolutamente la visione, anche ma non solo per questa specifica occasione. Eleonora Duse capì subito, però, che il nuovo medium, pur non facendo per Lei, l’ammaliava. Marcello, infatti, ce la mostra in una sequenza – forse operando una leggerissima, trascurabile inesattezza storica – con in mano la prima cinepresa amatoriale al mondo, la “Pathé Baby” 9,5 mm che nacque in Francia proprio nel 1922 per portare il cinema in casa e documentare la vita familiare e gli eventi sociali. E infine, last but not least, il mondo del teatro a lei contemporaneo, dal grande Ermete Zacconi (Mimmo Borrelli) al fedele Memmo Benassi (Vincenzo Nemolato) all’attrice più importante del teatro francese Sarah Bernhardt (Noémie Lvovsky) che, per altro, le farà una paternale.

A partire da questo contesto storico e personale, Duse di Pietro Marcello focalizza la sua storia sul tentativo dell’attrice di uscire dall’impasse professionale e di tornare sulle scene aiutata dalla fedele assistente austriaca Désirée von Wertheimstein (Fanni Wrochna) ma acuendo così un conflitto, sempre latente, con la figlia Enrichetta Marchetti (Noémie Merlant) che si sente sempre più distante e non amata dalla madre. Come ha dichiarato lo stesso regista, la chiave di lettura del suo film, a partire da quanto lo aveva colpito nella figura della “Divina”, era quello di evidenziarne le tante contraddizioni: ricercare la libertà ma poi accettare che Mussolini le desse un vitalizio e le estinguesse i debiti; il rapporto di odio-amore con D’Annunzio che lei torna a vedere e sedurre per proprio tornaconto; il suo altalenare tra glorie passate e un incerto futuro, dando ingenuamente credito ad un ammiratore che si crede un giovane autore di talento ma non lo è, tal Giacomo Rossetti Dubois (un personaggio di fantasia, interpretato da Edoardo Sorgente), con annesso un catastrofico ritorno sulle tavole del palcoscenico.
Non si è trattato dunque per Pietro Marcello di realizzare un biopic tradizionale, bensì di mettere a nudo l’anima di una grande artista a cospetto della storia sia pubblica sia personale, anche nell’annoso tiremmolla tra Potere e Arte. Una delle scene più notevoli di questa sontuosa Duse vede l’incontro tra le due “Divine” e in quella occasione Sarah Bernhardt invita la collega italiana a lasciar perdere Ibsen per scoprire e concentrarsi sul mondo nuovo che sta arrivando. Che per l’Italia purtroppo significherà, dopo l’avventura di Fiume, soprattutto l’avvento del fascismo.
A capo di un ottimo cast, Valeria Bruni Tedeschi, dopo L’arte della gioia di Valeria Golino, ci consegna una prova formidabile con cui si candida d’emblée a ricevere la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile. Bisogna lasciarle solo qualche minuto per entrare nella debordante teatralità del suo personaggio per immedesimarsi e credere sino in fondo alla figura che inscena. Anche grazie al pregevole lavoro sulle immagini del dop Marco Graziaplena con cui in precedenza aveva lavorato, Pietro Marcello torna a rievocare le atmosfere cupe e minacciose del primo dopoguerra in cui aveva già ambientato Le vele scarlatte un paio di anni fa, e ciò già a partire dalla suggestiva sequenza sui titoli di testa in cui ci immerge nell’Europa trasformata e ancora deturpata dalla guerra. Realizzando, così, forse un film notevole che lascerà un segno nella sua breve ma importante carriera.
In Concorso al Festival di Venezia 2025,
In sala dal 18 settembre 2025.
Duse – Regia: Pietro Marcello; sceneggiatura: Letizia Russo, Guido Silei, Pietro Marcello; fotografia: Marco Graziaplena; montaggio: Fabrizio Federico, Cristiano Travaglioli; musica: Marco Messina, Sacha Ricci, Fabrizio Elvetico; scenografia: Gaspare De Pascali; interpreti: Valeria Bruni Tedeschi, Noémie Merlant, Fanni Wrochna, Noémie Merlant, Fausto Russo Alesi, Vincenzo Nemolato, Edoardo Sorgente, Gaja Masciale, Vincenza Modica, Mimmo Borrelli, Savino Paparella, Noémie Lvovsky, Rita Bosello, Marcello Mazzarella, Vincenzo Pirrotta, Alessio Gorius, Federico Pacifici, Giovanni Morassutti, Nathan Macchioni, Dafne Broglia; produzione: Carlo Degli Esposti, Nicola Serra, Marco Grifoni, Benedetta Cappon per Palomar, Avventurosa, Ad Vitam, Berta film, Rai Cinema; origine: Italia/Francia, 2025; durata: 122 minuti; distribuzione: PiperFilm.
