Elisa di Leonardo Di Costanzo

  • Voto

«Perché dare voce a chi agisce la violenza? Che cosa si intende conoscere? Può il reo, con la sua parola, accedere alla verità personale del suo gesto? […] La violenza vive di una doppia vita, quella rilevata nell’obiettività dei tassi di omicidio e quella che scorre nell’esperienza individuale di rei e vittime. In questo libro gli autori avvicinano una storia di vita violenta a partire da un approccio interazionista radicale. La voce narrante è quella di una donna omicida che, in dialogo con i due criminologi, ci guida nel flusso dei ricordi della sua infanzia, dei legami familiari, degli incontri, per dare un possibile senso al suo gesto estremo». (Dalla presentazione del libro Io volevo ucciderla di Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali, Raffaello Cortina Editore, 2022).

Forse era più facile sulla carta stampata e non sullo schermo, cercare di capire e riflettere sulle intenzioni, consce o inconsce, di un’assassina, quelle che hanno spinto Leonardo Di Costanzo, insieme ai suoi co-sceneggiatori Bruno Oliviero, Valia Santella a realizzare questo Elisa ispirato a un caso vero indagato nel citato libro di Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali. Un film – per anticipare subito il nostro giudizio al lettore in maniera sintetica – più interessante che pienamente riuscito. In genere noi critici – uso il plurale ma parlo soprattutto di me stesso – tendiamo ad abusare del termine “interessante” anche nelle nostre valutazioni quando si resta indecisi e dubbiosi sul crinale della scelta, a mezza strada, tra un sì e un no. Nel caso, però, del nuovo film del regista ischitano dove si prosegue un discorso iniziato, alla grande, nel precedente Ariaferma, siamo convinti che la formula qui utilizzata, sia appropriata, per cercare di introdurre quello che è il penultimo film italiano in Concorso al Festival di Venezia e immediatamente in sala da venerdì 5 settembre.

Ma andiamo per ordine a partire da qualche informazione di trama: da dieci anni, la trentacinquenne Elisa Zanetti (Barbara Ronchi) sconta una pena per avere trucidato la sorella maggiore Katia e averne bruciato il cadavere, senza motivi apparenti. È detenuta in una sorta di sperimentale carcere modello, quasi paradisiaco, sembrerebbe la manniana Montagna incantata, in un luogo imprecisato sulle Alpi e di confine, dove tutti sono incredibilmente gentili e cortesi, e nel quale si parla in francese. Forse si tratta della Svizzera (che ha co-prodotto il film), anche se la protagonista ha commesso il suo crimine ed è stata condannata in Italia – mistero glorioso, comunque sorvoliamo, anche se si resta un po’ spiazzati, ma non è questa una pecca di rilievo. La donna è sofferente ma gelida e sostiene di ricordare pochissimo del delitto, come se fosse calata una totalizzante nebbia di amnesia tra sé e quel momento devastante. Il padre (Diego Ribon) che le aveva affidato la conduzione della propria azienda di legname, unico tra i membri della famiglia, la va a trovare di frequente facendo due ore di treno dall’Italia per cercare di consolarla ma la situazione sembra non cambiare mai. O almeno sino a quando Elisa non accetta di incontrare un criminologo francese, il Dott. Alaoui (un accigliato Roschdy Zem), che, lì per uno stage in questa colonia-modello, sta scrivendo un libro su casi come il suo e lei decide di collaborare al lavoro dell’uomo. Ne sortisce, subito, tra i due un intenso dialogo, teso, difficile, una specie di seduta psicanalitica con continui “stop and go” dove, comunque, si smuove la psiche della paziente, al punto che i ricordi iniziano a prendere forma nella donna. Tale processo le potrebbe permettere, nella dolorosissima vivisezione del passato e con alcuni colpi di scena riguardanti il personaggio della madre, di rendersi effettivamente conto della propria colpa e ciò la potrebbe (usiamo il condizionale) condurre ad una personale Vergangenheitsbewältigung su quanto ha compiuto, sino a (chissà?) la redenzione. Ma l’ipotesi della manipolazione, della malafede, dell’ambiguità insinuante del Male resta sempre dietro l’angolo.

Barbara Ronchi

La sostanza e lo stile di Di Costanzo ha subito negli anni una svolta piuttosto radicale: partito dal “cinema del reale” documentario è poi approdato progressivamente alla fiction privilegiando il corpo a corpo, il grande lavoro con i suoi interpreti. Sin dal suo primo lungometraggio L’Intervallo (2012, a Venezia in “Orizzonti”) il contesto di riferimento era rappresentato da un grande spazio chiuso e claustrofobico, a simboleggiare il non luogo d’incontro dei due protagonisti, un “intervallo” appunto, in un tempo/spazio sospeso. Tutto ciò si trasformava in Ariaferma (anche questo al Lido “Fuori Concorso” nel 2021), un ulteriore film basato sul momento dell’attesa, in un carcere sardo in via di dismissione, isolato dal resto del mondo e sospeso in una dimensione senza spazio né tempo, nel quale un piccolo gruppo di guardie insieme a una dozzina di detenuti aspettano di essere trasferiti. Infine, in Elisa si prosegue nella chiave del non-luogo adottando, però, una forma, una strategia narrativa di detection quasi alla Hitchcock, cioè giocando con lo spettatore a rivelare i segreti, gli incunaboli psicologici e le intenzioni recondite della nostra eroina, con i connessi dilemmi morali che ne derivano. In questo modo Leonardo Di Costanzo vuole renderci dei “detective” emotivamente coinvolti, piuttosto che dei semplici osservatori della storia, svelando passo dopo passo la soluzione del mistero. Non c’è dubbio che per tutta la prima parte ci riesca in modo brillante – accompagnando tale ricerca ad un interessante lavoro sul volto e sulle movenze di Barbara Ronchi (ottima la fotografia di Luca Bigazzi) che ci ha consegnato così una ottima interpretazione attoriale.
Quanto, invece, ci convince molto meno, è la cura dei dettagli della trama, a partire da alcune figure minori che sono quasi buttate là dentro il film senza un reale e adeguato sviluppo narrativo, ad esempio, un guardiano che sembrerebbe quasi innamorato della protagonista o il fratello di Elisa. Pensata come possibile scelta morale alternativa, anche la figura di una madre interpretata in un cameo da Valeria Golino sembra calata dall’alto a simboleggiare la non volontà di perdonare l’omicidio del figlio compiuto da un branco di borderlines.

Tuttavia, anche con queste e altre possibili riserve, Elisa resta un’opera che va assolutamente vista e gustata, soprattutto nella versione sottotitolata dove i vari personaggi parlano in francese e in italiano. E consigliamo di fare molta attenzione alla sequenza iniziale con la lezione “filosofica” del criminologo francese nella quale, secondo noi, sta il senso morale e il vero “sale” di un film appunto molto “interessante” e in gran parte riuscito, a cui, in alcuni nodi narrativi, è mancato il tempo per essere stato rifinito a dovere.  Ça va sans dire: consigliabile.

In Concorso alla Mostra di Venezia 2025
In sala dal 5 settembre 2025.


Elisa – Regia: Leonardo Di Costanzo; sceneggiatura: Leonardo Di Costanzo, Bruno Oliviero, Valia Santella; fotografia: Luca Bigazzi; montaggio: Carlotta Cristiani; musica: Giorgio Matteo Aki Oliviero; interpreti: Roschdy Zem, Barbara Ronchi, Diego Ribon, Valeria Golino, Giorgio Montanini, Hippolyte Girardot, Monica Codena, Roberta Da Soller, Marco Brinzi, Nadia Kibout, Josepha Yang, Federico Di Costanzo, Adeline Tayoro, Antonio Buil, Jasmin Mattei, Roberta Fossile; produzione: Carlo Cresto-Dina, Manuela Melissano, Michela Pini, Amel Soudani per Tempesta, Amka Films Productions, Rai Cinema; origine: Italia /Svizzera, 2025; durata: 105 minuti; distribuzione: 01 Distribution.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *