Festival di Venezia (27 agosto – 6 settembre 2025): Il mago del Cremlino di Olivier Assayas (Concorso)

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Paul Dano

Meglio noto come il film in cui Jude Law interpreta Putin, Il mago del Cremlino segue più da vicino un altro personaggio, più enigmatico e misterioso: Vadim Baranov (Paul Dano), che si era imposto fin dai tempi di Eltsin come manipolatore mediatico e burattinaio invisibile e che sarà a lungo l’eminenza grigia alla quale Putin farà ricorso per le sue strategie. L’uomo che ha saputo meglio di chiunque altro intercettare e comprendere lo spirito, la filosofia e la mentalità della Russia e dei suoi abitanti. In realtà Vadim Baranov non esiste, è l’unico personaggio di finzione del film,  Il suo personaggio si ispira a Vladislav Surkov, ideatore di concetti cruciali per il Cremlino come la “democrazia sovrana” e la “verticalità del potere” – Baranov interpreta il potere come una forma di arte d’avanguardia. Un diabolico ma brillante Machiavelli postmoderno che ha trasformato la politica russa in un’enorme show televisivo, con il suo mattatore, Putin, come protagonista. 

L’argomento è estremamente delicato ed era importante riuscire a dare al film un taglio che permettesse di far emergere un quadro completo in tutte le sue sfaccettature, lasciando un certo margine di autonomia di giudizio allo spettatore. Tratto dall’omonimo testo di Giuliano da Empoli, (che fu anche, e non a caso, Senior Advisor di Matteo Renzi) il film presenta le vicende con un certo rigore e illustra in maniera particolarmente efficiente la complessità delle macchinazioni politiche. Più che un film è un saggio sulla filosofia e la strategia del potere e su cosa muove le grandi decisioni geopolitiche, che si tratta di interessi che, se si allineano a quelli della popolazione, sicuramente non è per solidarietà o sostegno ma per pura causalità e casualità. Illustra bene la concezione del Potere in Russia, come si è evoluta, e in cosa si differenzia dalla controparte americana, spiega quali sono i cardini e i tasti da premere se si vuole far leva sull’inconscio e sull’immaginario del popolo russo e cosa si sia riuscito a inventare per provocare una reazione nel cittadino cresciuto in un contesto storico del genere.

Il film (ed il romanzo da cui è tratto) dà una spiegazione molto credibile a dilemmi sociali e manifestazioni estetiche che l’occidente fatica a decifrare, come ad esempio la sfarzosità e l’utilizzo del kitsch ( è l’unica arma che abbiamo). Baranov consiglia lo “Zar” su come rispondere alla richiesta di autorità durante eventi storici come la Seconda guerra cecena, le elezioni presidenziali del 2000, l’affondamento del Kursk, la crisi degli ostaggi del teatro di Mosca del 2002 e persino la Rivoluzione arancione del 2004. Narra lo sgretolamento dell’Unione Sovietica e le ragioni per cui è stata favorita una ricomposizione sotto il regime, appunto, di Vladimir Putin. La scrittura è il pregio principale del film, con Baranov che in due o tre occasioni riesce, attraverso conversazioni e spiegazioni penetranti e intelligenti, a illustrare esattamente la ragione e il motore che muove la propaganda politica e sociale. In particolare, ciò che dice riguardo all’Ucraina e all’utilizzo dei media e di Internet è fondamentale: non si punta più a lanciare un messaggio di propaganda, ma a instillare caos e confusione. Non più pro o contro, il regime sostiene qualsiasi punto di vista, opinione e prospettiva; il fine ultimo è cambiato, generare il caos è l’unico obiettivo per poter poi rafforzare la dittatura. 

Oltre a Putin, molti altri personaggi realmente esistiti sono protagonisti: Boris Berezovsky, un uomo d’affari e magnate della televisione, è l’ex datore di lavoro di Baranov ed è lui a presentargli Putin, all’epoca tenente colonnello dell’FSB. (il film però non racconta la depressione e il suicidio di Berezovsky, avvenuti dopo la sua caduta in disgrazia); l’oligarca Mikhail Khodorkovsky, che nel film corteggia e sposa l’amante di Baranov prima di essere arrestato per frode nel 2003, il fedele funzionario di Putin Igor Sechin, il famoso scacchista e oppositore Garry Kasparov, l’ideologo Eduard Limonov. 

La messa in scena di tale scrittura è un altro paio di maniche: abuso della voce fuori campo, durata della pellicola eccessiva, scene che chiudono in dissolvenze poco convinte e tutta una parte, quella che si concentra sulla vita privata di Baranov, in cui si crogiola con cinismo dei suoi dilemmi interiori, meno interessante. Paul Dano è un po’ troppo compassato: più che imperturbabile, pare monocorde;  mentre Jude Law , a cui spettava il compito più arduo, quello di vestire i panni dello Zar, se la cava meglio, azzeccando diversi tic, e cogliendo molto bene l’essenza del personaggio. Manca leggermente l’aura inquietante e lo sguardo di Law è troppo espressivo, non possiede la gelida minaccia dell’originale, ma fa il massimo che si possa pretendere da un attore britannico chiamato a interpretare uno zar russo. Il tutto in inglese senza una sola parola di russo, da una sceneggiatura di Emmanuel Carrère…

In sala dal 21 gennaio 2026.


Il mago del Cremlino  (Le Mage du Kremlin) – Regia: Olivier Assayas; sceneggiatura: Olivier Assayas, Emmanuel Carrère (basata sul romanzo di Giuliano da Empoli); fotografia: Yorick Le Saux; montaggio: Marion Monnier; scenografia: François-Renaud Labarthe;  interpreti: Paul Dano, Jude Law , Alicia Vikander , Jeffrey Wright, Tom Sturridge , Will Keen; produzione: Curiosa Films, Gaumont, Pierce Capital Entertainment; crigine: Francia/ Regno Unito/ Stati Uniti, 2025; durata: 156 minuti; distribuzione: 01 Distribution. 

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