Festival di Venezia (27 agosto – 6 settembre 2025): La gioia di Nicolangelo Gelormini (Giornate degli Autori – Concorso)

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Confesso che non sono un grande appassionato di cronaca nera: detesto tutto il tempo, infinito, che i telegiornali dedicano ai vari delitti che scatenano la curiosità e il voyeurismo degli italiani (tanto per dire: negli altri paesi questa rubrica nei telegiornali non c’è), non mi interessa “Chi l’ha visto?”, non ho mai seguito “Un giorno in pretura”. È per questa ragione che non sapevo nulla del cosiddetto delitto Rosboch, un femminicidio, ma all’epoca non lo si chiamava così, avvenuto 9 anni fa nel torinese. La vittima fu un’insegnante cinquantenne, non particolarmente socievole, non particolarmente bella, che ancora viveva in casa con i genitori. I colpevoli: due uomini, un suo ex-studente, con cui aveva iniziato una “storia”, finendo (lei) per innamorarsene, al punto da farsi sottrarre tantissimo denaro, e un suo (di lui) amante. Non fu difficilissimo scovarli, l’unica cosa difficile fu capire chi dei due avesse materialmente compiuto l’omicidio, visto che si accusavano a vicenda; connivente si è rivelata anche la madre di colui che alla fine si è scoperto essere il colpevole.  Si tratta di un classico caso di “truffa affettiva” che in questo caso non è stata solo truffa ma anche omicidio. La vittima si chiamava Gloria, Gloria Rosboch appunto.

Oltre a una puntata del già citato “Un giorno in pretura” visibile su Raiplay, c’è stata qualche anno fa anche una serie (una stagione) prodotta da Amazon, intitolata Inganno d’amore – Il delitto Rosboch. In realtà, prima ancora, ovvero nel 2017, era stata ideata una pièce teatrale, scritta e diretta da Giuliano Scarpinato e Gioia Salvatori basata appunto sul delitto di Torino, dal titolo Se non sporca il mio pavimento E su questa pièce è basato il nostro film, tanto che Scarpinato, Salvatori, oltre a Chiara Tripaldi e al regista stesso hanno scritto la sceneggiatura del film, l’unico italiano presentato nel Concorso delle Giornate degli Autori.

Valeria Golino e Saul Nanni

Il regista è Nicolangelo Gelormini (1978) che ha diretto di recente, un episodio de L’arte della gioia di Valeria Golino. E Valeria Golino, davvero straordinaria, è l’attrice che interpreta Gloria che è stato deciso di ribattezzare Gioia, il film s’intitola infatti La Gioia, con la “G” maiuscola a significare che del personaggio si parla e non del sentimento, anche se con ogni evidenza, l’ambiguità è voluta (poi ci sarebbe anche Gioia Salvatori, una delle autrici della pièce, appunto). E non so se il passaggio da Gloria a Gioia intenda in qualche misura furbescamente richiamare alla memoria la serie di Golino, facendo credere a uno spettatore alquanto disattento che il film possa esser considerato un sequel, uno spin-off alquanto paradossale, della serie tratta da Goliarda Sapienza.  Ovviamente nulla di tutto ciò.

Il film – a quanto si capisce – ripercorre con una certa fedeltà l’accaduto, anche se bisognerebbe addentrarsi nei meandri della vicenda giudiziaria per capire che cosa ci sia di vero e che cosa invece sia di inventato, ma, alla fine, chi se ne importa. Quel che invece conta è vedere com’è organizzato il film, quasi prescindendo dall’orribile vicenda a cui si ispira.

Mi paiono molti gli elementi rimarchevoli in questo film. Cominciando da una regia molto ambiziosa, soprattutto nella prima parte (dopo si normalizza un po’) con riprese sghembe, irrealistiche e stranianti, quasi a volerci introdurre in un universo alla cui esistenza si fa fatica a credere, una regia, ma anche una sceneggiatura che ama – di nuovo: soprattutto nella prima parte – provocare un notevole disorientamento che, secondo me, funziona piuttosto bene. Dopodiché anche la sceneggiatura – una volta individuati i tre/quattro personaggi principali e la vicenda intorno a cui tutto ruoterà – si placa e si incanala.

Al fine di delineare la vicenda principale, il regista è molto bravo, sintetico, “economico”. Racconta per squarci l’ambiguità, quella che con termine moralista si potrebbe definire la promiscuità dell’ambiente in cui vive Alessio, detto Alexis (interpretato da Saul Nanni, attore e modello, molto bello e molto convincente, un personaggio che ricorda il Miguel Bosé primissima maniera, ma con un tocco di perversione in più): una madre dissennata e complice (interpretata da Jasmine Trinca, brava per carità, ma ormai, a dire il vero, un po’ cristallizzatasi – almeno negli ultime presenze televisive – nei ruoli “perversi:” dalla Lucia, la “cognata” di Siffredi in Supersex, alla badessa de L’Arte della Gioia), i tentativi di Alexis di raggranellare soldi con prestazioni/esibizioni a beneficio soprattutto di maschi infoiati avanti con gli anni, l’atteggiamento annoiato e oppositivo che tiene a scuola.

Ancora più stringato e deprimente il modo in cui ci viene descritta la vita di Gioia (mai nome fu più disperatamente agli antipodi della realtà): vive con i genitori, il padre malato di Alzheimer, la madre fintamente protettiva e tenera (chiama la figlia cinquantenne “colomba”) ma in realtà affetta da un’inquietante ossessione del controllo, una casa, a dir poco, opprimente, dove l’unico svago è guardare  i quiz televisivi, ascoltare canzoni, un tempo si sarebbe detto, guardare MTV, e vedere le partite della Juventus, di cui Gioia è talmente tifosa da aver sopra il letto una sciarpa bianconera (mi astengo da commentare quest’ultimo particolare).

Gioia va vestita in un modo che si fa fatica a non definire orribile, maglioni improbabili, scarpe terrificanti, camicie dai colori spentissimi, cappottini che non sono mai stati di moda – e poi i capelli, che capelli. Bisogna solo fare i complimenti a chi si è occupato di costumi, trucco e parrucco – e nominiamole/li per una volta: Antonella Cannarozzi (costumi), Adriana Apruzzo (truccatrice), Maria Federico (parrucchiera), nonché, non ultimo, il cosiddetto “prosthetic designer”: Lorenzo Tamburino. Veramente bravissimi, non c’è che dire.

L’uso del colore mi pare anch’esso degno di nota: giallini, grigi, marroncini, roba di una tristezza abissale. E, non ultimo, è da apprezzare l’uso della musica: dall’ottima musica extradiegetica, ovvero composta appositamente, del compositore islandese Tóti Guðnason alle diverse canzoni che punteggiano in modo tristemente paradossale la vicenda a cui stiamo assistendo: da Reality di Richard Sanderson, colonna sonora, fra l’altro de Il tempo delle mele (qui vale l’esatto contrario, ci dice il regista, col ditino puntato, o forse è la stessa cosa, anche Gioia è in fondo un’adolescente del tutto inesperta sul piano emotivo) a Modern Times di David Bowie.

Ad ascoltare queste canzoni si ottiene la conferma, di ciò che  lo spettatore ha già capito fin dalle prime scene del film: il regista – secondo me – non ha nessuna intenzione di produrre empatia nei confronti di colei che diventerà la vittima di una storia d’amore, fuori tempo massimo e improbabile fin dall’inizio.

Da rimarcare infine il valore aggiunto prodotto dalle opere d’arte/installazioni nei molti non luoghi in cui si svolge il film – e per concludere, similmente a quanto succede con la musica, l’utilizzo antifrastico della letteratura francese (ma non solo francese), testi canonici, per lo più melodrammatici,  recitati ad alta voce da Gioia, professoressa (mi ero scordato di dirlo) di francese, appunto. E quando – seppur troppo tardi – Gioia si accorge della truffa, del tradimento che le sono stati inflitti, strappa con rabbia le pagine di un libro. Quale? Beh, Madame Bovary. Chissà come mai?

Insomma: un film, a tratti un po’ troppo didascalico, ma nell’insieme per nulla banale e scontato.


La Gioia – Regia: Nicolangelo Gelormini; sceneggiatura: Giuliano Scarpinato, Gioia Salvatori, Nicolangelo Gelormini, Chiara Tripaldi; fotografia: Gianluca Rocco Palma; montaggio:  Chiara Vullo; interpreti: Valeria Golino, Saul Nanni, Jasmine Trinca, Francesco Colella; produzione: HT Film, Indigo Film, Vision Distribution, in collaborazione con Sky; origine: Italia, 2025; durata: 108 minuti.

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