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Voto

Qual è la nostra terra? Partiamo da lontano, dallo spazio, dal pianeta che rotea, dai confini dei continenti visti dall’alto. Scendiamo, come un aereo silenzioso e fluido ci avviciniamo al globo terrestre, sorvoliamo mari e monti fino ad arrivare nella vegetazione tra le rocce di una zona del nord dell’Argentina. Sulla loro terra camminano degli indios in gruppo, tre uomini ben vestiti passano loro accanto per raggiungere la macchina. La tensione è palpabile, tra i due gruppi di persone non esiste un rapporto paritario, i tre uomini bianchi – un possidente e due complici – si danno manforte, hanno un piglio aggressivo, rendendosi conto di essendo oggetto di fotografie da parte di un indigeno si mettono a filmare con un telefono cellulare. È in atto una rivendicazione del territorio, i tre sono armati di pistola, si scontrano verbalmente ma tutto degenera rapidamente, si sente uno sparo, poi due, tre: muore Javier Chocobar, leader della comunità indigena Chuschagasta (letteralmente popolo di capelli lunghi) che abita quella terra dal XVII secolo. La registrazione video diventa prova.
Subito dopo ci ritroviamo in un’aula di tribunale (è il 2018) dove è in corso, dopo nove anni di proteste, un procedimento giudiziario con accusa di omicidio. Gli accusati – Gomez, Valdivieso e Amin – sono sprezzanti, hanno un piglio spocchioso, modi da padroni, sono poliziotti in pensione con porto d’armi ancora valido, ricostruiscono gli eventi con una loquela differente dagli indigeni dichiarandosi innocenti e senza interesse nei confronti dei membri della comunità locale. Gli avvocati della difesa giocano a mettere a disagio i testimoni, ne evidenziano i limiti, giocano la carta, sporca, di una presunta superiore civilizzazione.
È in perpetuato da anni un sistema di violenza che agisce sui poveri (emblematico quando un esponente del governo non comprende il rifiuto degli indios di lavorare per loro guadagnando cinque sei volte di più) non riconoscendo loro il diritto di vivere dove vivono da quando sono nati. I racconti dei protagonisti sono toccanti: il figlio di Chocobar, presente il giorno dell’assassinio del padre, che cerca di portare via la madre dal luogo del delitto, chi ricorda che essere definiti indios era considerato un insulto, chi è consapevole che il dialogo è un’arma che gli si ritorce contro, che gli indigeni ci rimettono a parlare, che se parlano dovranno cedere per forza qualcosa. Sul finale uno di loro sancisce, definitivo: la storia mentirà come sempre perché è la storia dei coloni, degli argentini venuti da altre parti del mondo, emigrati dall’Italia, dalla Spagna, dalla Germania, che ora si sentono di avere più diritto di nazionalità di chi discende dal popolo nativo, da chi ha antenati che sono stati sfruttati dai coloni che davano loro semenze da coltivare in cambio di metà del raccolto. La storia dei cosiddetti civilizzatori è quella che si insegna a scuola in Argentina.
Il processo si conclude con una sentenza di omicidio colposo, i tre accusati finiscono in prigione per qualche anno, poi escono (come recita un cartello finale), è dunque una vittoria relativa, ma simbolica, che incoraggia le comunità indigene di tutta l’America Latina.
Al suo primo lungometraggio documentario, Lucrecia Martel dà voce, attraverso interviste e fotografie, a coloro che si battono in una lotta per la terra, per l’identità, per la sopravvivenza culturale, contro l’ingiustizia di stampo coloniale che, attraverso l’espropriazione dei territori, ha condotto a questo crimine: fa con dovizia, con rispetto, con ardore lasciando che i fatti parlino da sé in una drammaticità toccante.
Le immagini dei droni regalano una natura maestosa a perdita d’occhio che ferisce di bellezza nell’urto, fuori campo, con le parole stanche, disilluse ma decise, dei vecchi che fronteggiano da sempre la brutalità della colonizzazione con coraggio determinato, con senso profondo di memoria collettiva, con l’urgenza dignitosa di una resistenza assoluta contro la cancellazione delle popolazioni indigene in tutta l’Argentina.
Lucretia Martel confeziona un film documentario che brucia come lo sparo fuori campo contro Javier Chocobar, che toglie il respiro dalla rabbia, che non denuncia ma parla a chi è disposto a sentire. Necessario.
Nuestra tierra – Regia: Lucrecia Martel; sceneggiatura: Lucrecia Martel, María Alché; fotografia: Ernesto De Carvalho; montaggio: Jéronimo Pérez, Miguel Schverdfinger; musica: Alfonso Olguín; interpreti: Comunità Chuschagasta; produzione: Rei Pictures, Louverture Films, Piano, Pio & Co, Snowglobe, Lemming Film; origine: Argentina/ Usa/ Messico/ Francia/ Paesi Bassi/ Danimarca, 2025; durata: 119 minuti.
