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Voto
Noto, in particolare, per il cortometraggio Khouya (Mon frère – Mio fratello, in Concorso a Locarno nel 2010 e a Clermont-Ferrand nel 2011) e il documentario Algiers by Night (2018), il regista algerino Yanis Koussim presenta Roqia (il suo primo lungometraggio di finzione) nel Concorso della SIC veneziana. Scritta dallo stesso regista, la sceneggiatura si sviluppa in due periodi storici: nel 1993, dopo un incidente d’auto che lo ha lasciato con l’amnesia, Ahmed torna al suo villaggio dove nulla gli sembra familiare, né sua moglie né i suoi figli. Il più giovane di loro, spaventato dal volto bendato dell’uomo, lo teme profondamente. Ogni notte, strani visitatori gli sussurrano litanie in una lingua sconosciuta. Chi sono? Perché il suo vicino lo disturba? Nel tempo invece a noi presente un anziano Raqi (un esorcista mussulmano) sta combattendo contro l’Alzheimer. Il suo discepolo è preoccupato. Le storie s’intrecciano e così, mentre i posseduti parlano lingue straniere e la violenza si intensifica, Ahmed teme di recuperare la memoria e il discepolo paventa che il regresso del suo maestro scatenerà un male antico.
L’ambientazione multi-temporale è sicuramente affascinante e coinvolgente, in particolare per quanto riguarda quella durante il decennio nero algerino che coincide col periodo di guerra civile nel paese. Sembrerebbe che il fine dell’opera sia quello di offrire allo spettatore l’opportunità di rivisitare il passato e di saperne di più su quel momento storico. Da più parti il film si è stato letto come un “esorcismo” che esplora traumi, ricordi e paure, riflettendo sull’identità frammentata del mondo arabo. Un rituale di catarsi collettiva rivela il divario che separa la fede dalla violenza, la spiritualità dal terrore. E quindi le scelte di girare quasi tutte le scene con la macchina a mano genera un senso di claustrofobia che funzione e così l’opera diventa uno spazio di tensione, di alienazione ma anche di confronto tra generazioni diverse. Davvero molto riusciti sono soprattutto i primi dieci minuti che aprono il film. Si entra come in tunnel senza luce dove grida, sequenze d’immagini “che non si vedono” tanto è il buio che ci assale e rumori assordanti di armi e di inseguimenti (chissà poi verso dove) s’intessono in un mix audio-visivo davvero potente ed efficace. Ecco: come uscire dalla galleria delle circostanze del passato? Da quello della memoria di eventi che hanno sconvolto e alterato le vite dei protagonisti come quelle dei loro figli e nipoti. Si può provare ad affrancarsi dalla storia? Domande che il film di Koussin, in punta di piedi, si e ci pone raccontando pezzi di esistenza credibili. Di recente ha affermato: “Sono cresciuto durante i sanguinosi anni ’90 in Algeria, e il trauma e la paura di quel periodo persistono ancora sotto la superficie della vita quotidiana.
Con Roqia, si usa l’horror, radicato nel realismo e nella memoria, come strumento per affrontare quel passato, preservarlo e garantire che non venga mai dimenticato”. Dunque, si può dire che tutto il film consiste in un tentativo di scongiuro contro la diavoleria di chi, mai stanco, prova sempre e nuovamente a ergersi “guida” di e per gli altri, senza essere semmai capace di controllare nemmeno se stesso. La storia ne è piena, ma non sembra essere stanca. È sempre gravida di questi personaggi che con indifferenza s’agirano nei cunicoli delle interpretazioni tralasciando volutamente fatti e loro oggettivazioni.
Ben vengano allora i film come questo che consigliamo vivamente di andare a vedere se mai potranno uscire anche nelle nostre sale.
Roqia; Regia e sceneggiatura: Yanis Koussim; fotografia: Jean-Marie Delorme; montaggio: Sarah Zaanoun, Maxime Pozzi-Garcia; scenografia: Saad Ouled Bachir; interpreti: Ali Namous (Ahmed), Akram Djeghim (discepolo), Mostefa Djadjam (Raqi), Hanaa Mansour (Waffa), Lydia Hanni (Selma), Abdelkrim Derradji (Abdelkrim); Produttore: Fares Ladjimi per Supernova Films; co-produzione: 19, Mulholland Drive Production; origine: Algeria/ Francia/ Qatar/ Arabia Saudita, 2025; durata: 89 minuti.
